Il giardino degli Armeni e la finestra di Bassani
17-11-2006 / A parer mio
di Girolamo De Michele
L'inaugurazione di un giardino della memoria dedicato al genocidio del popolo Armeno e l'iscrizione dei versi di un poeta sulla pietra sono due gesti importanti, il cui valore simbolico va ben oltre la specifica occasione. Incidere una parola sulla pietra è un impegno non solo verso se stessi, ma soprattutto verso le generazioni future, è un sasso lanciato nel domani. La pietra che saluta Ludovico Ticchioni come il miglior compagno è un paragone che i suoi compagni hanno lasciato agli studenti a venire: chiunque passi davanti a quella pietra sa che è con quel modello che dovrà confrontare la propria coscienza e il proprio agire. Limitarsi a dirlo non sarebbe stato lo stesso. Incaricare la pietra di dire la parola "genocidio" significa consegnarle questa parola, ma anche prendere l'impegno di difenderla non solo oggi, ma ogni giorno, finché la pietra rimarrà tale: come i versi di Calamandrei, scritti per essere scolpiti nel granito e nella memoria, e perciò sempre presenti. E sicuramente questa parola, anzi, questa frase - il genocidio degli Armeni - avrà bisogno di essere difesa: dai negazionisti, in primo luogo; da chi la strumentalizzerà per odio verso un altro popolo, quello ebraico, la cui memoria è attraversata dalla stessa sofferenza; da chi, per calcoli politicanti di breve respiro, la userà contro l'Europa, come strumento di esclusione oggi, per attaccare l'idea stessa di Europa domani; ma anche dai molti campioni del pensiero pavido, capaci di parlare delle "vicende degli Armeni" senza mai pronunciare la parola "genocidio".
Ancor più importante è che questa iniziativa sia partita dal mondo della scuola, cioè dalla società civile, facendosi strada sino alle istituzioni locali, che hanno giustamente raccolto l'invito a riconoscere il genocidio, aggiungendo il nome di Ferrara a quello di altre città d'Italia. È questo, mi sembra, il valore simbolico aggiunto delle iniziative di queste settimane sull'Armenia di ieri e di oggi: la vitalità della scuola, calata nella realtà di una società altrettanto vitale, e che giustamente chiamiamo civile, per ricordarci che esiste anche una società incivile con la quale dobbiamo confrontarci. Inutile negare la realtà: viviamo in un paese spaccato in due, e non solo, non principalmente sul piano politico. La società italiana si è spaccata in due, e Ferrara non fa eccezione: manifesta anch'essa questa frattura, ma come sempre lo fa nelle forme che le sono peculiari. La scuola è stata forse il luogo in cui questa divisione si è mostrata più evidente, in questi anni: una scuola popolata da insegnanti che non si sono lasciati mettere la mordacchia, da cittadini-lavoratori che hanno rivendicato il diritto a manifestare le proprie idee politiche sul luogo di lavoro, da studenti che hanno presidiato il centro cittadino per mesi, sino a riempirlo con una straordinaria manifestazione in cui chiedevano, per un loro compagno morto, verità e giustizia. Questa scuola che vivifica la società e stimola le istituzioni è la Ferrara del Savonarola, delle parole dette a viso aperto nella pubblica piazza. Ma esiste anche un'altra Ferrara, che la penna di Bassani e la cinepresa di Vancini ci hanno consegnato in un'immagine indelebile: la Ferrara che scruta dalla finestra sopra la farmacia del corso, che gira la testa dall'altra parte, che aspetta di capire l'aria che tira. Che resta indifferente al sopruso, o antepone un misero vantaggio locale all'interesse pubblico; che accetta supinamente e tristemente l'insulto ai valori della Costituzione, e in qualche caso alla Costituzione stessa, lasciando che sia trattata alla stregua di un opuscolo di propaganda politica; che resta al balcone a guardare il fiume di ragazzi che chiede di sapere perché Aldro è morto, forse perché qualcuno pensa di lui quello che pensavano coloro che lo hanno incontrato quell'ultima sua sera: che era una "zecca", e come lui i punk, gli hippies, i "drogati", i ragazzi dei centri sociali, insomma tutti quelli che appaiono fuori dagli schemi. Come era una "zecca" Carlo Giuliani, come erano insetti privi di dignità Ebrei, Armeni, Zingari, Omosessuali agli occhi dei loro carnefici. Accanto ad una scuola ed una società della pubblica piazza esistono una scuola e una società che stanno alla finestra, che si lavano la coscienza con una biciclettata ogni cinque anni dietro il politico di turno per poi mettere il cervello nel cassetto, tra un sacchetto di lavanda e una pallina di naftalina. Questa Ferrara esiste, perché esiste in Italia una società incivile siffatta: e se in Italia è forse maggioritaria, qui da noi non lo è, per fortuna. A sovrastare i mormorii sommessamente sussurrati alla finestra - gli inani idiotismi d'impiegatuzzi, per dirla con un bel verso di Bartezzaghi - ci sono i discorsi del Savonarola, che uniscono cuore e ragione: come quelli che chiedono verità e giustizia, per Aldro come per il popolo Armeno. Ecco perché è importante questo piccolo angolo di terra con i suoi melograni e la sua pietra parlante: leggendone il contenuto e condividendolo prendiamo ogni giorno l'impegno di sovrastare, con la nostra voce, il silenzio dei pavidi.