L'auriga scimunitus
13-03-2007 / A parer mio
di Andrea Poli
Sarà che nessuno ne ha preso coscienza perché è l'unica catastrofe ecologica che a Gaia il conduttore Mario Tozzi -che pure, avendo vaticinato tutti i cataclismi e le piaghe bibliche che colpiranno il pianeta di qui a duemila anni, quando parla si toccano dove potete ben immaginare perfino in Papuasia- ancora non ha preannunciato; fatto sta che l'effetto serra, con la paventata rarefazione dell'umidità atmosferica, rischia di portare all'estinzione un organismo vivente primitivo tipico della bassa padana, che prospera nei banchi di nebbia e nella scala evolutiva si situa fra l'australopiteco e l'uomo di cro-magnon: l'auriga scimunitus, questo il nome scientifico, meglio conosciuto ai più con l'appellativo popolare di: ma a te chi t'ha fatto scuola guida dì su? L'ultimo avvistamento dell'essere vivente di cui trattasi l'ho personalmente effettuato in una tarda serata del mese scorso, proprio nel momento in cui, essendomi per felice combinazione imbattuto in uno dei rari nebbioni della madonna di quest'inverno (quando si dice la fortuna), ho deciso di accendere i fari antinebbia posteriori per evitare di farmi tamponare. Sono queste -nebbione da transito a passo d'uomo e retronebbia accesi- le condizioni di base per il manifestarsi dell'auriga scimunitus. Che proprio in quel momento, infatti, si è materializzato dal nulla alle mie spalle; e, noncurante delle norme del codice della strada (da cui l'appellativo popolare di cui dicevo pocanzi), mi si è appiccicato al paraurti posteriore cominciando a lampeggiare come un indemoniato per segnalarmi di spegnere i retronebbia; i quali con tutta evidenza, a venti centimetri di distanza dal naso, gli procuravano un fastidioso riverbero. Come chiunque fra i lettori si sia trovato in questa condizione, ho pensato: e ti credo che danno fastidio, decerebrato, li fanno apposta più luminosi del normale perché tu possa starmi in scia a distanza di sicurezza: coi riflessi di frenata a un secondo, se davanti inchiodo io ai quaranta all'ora tu da dietro cominci a bloccare 12 metri dopo; praticamente mi entri col muso a mezza macchina prima ancora di toccare il pedale. Ergo, ho lasciato temerariamente accesi i miei bravi fanali; onde per cui l'ossesso ha continuato a martellarmi sempre più freneticamente le ghiandole deputate alla riproduzione, facendo germogliare l'irresistibile desiderio di accostare, scendere col crick in mano e dare una pregnante conferma postuma delle teorie di Darwin, secondo le quali in natura gli errori evolutivi vengono sopraffatti dagli organismi meglio adattati all'ambiente, nel nostro caso la guida notturna in caso di nebbia. Siccome, però, fermarsi lungo la strada nelle condizioni di cui sopra espone al rischio di concreta estinzione anche l'individuo vincente (nel nostro caso il sottoscritto), ho di malavoglia soprasseduto alla dimostrazione scientifica e sono andato stoicamente avanti per un altri cinque-sei chilometri, lungo i quali l'organismo inferiore ha continuato a rimanermi incollato come Valentino Rossi sugli scappamenti dell'avversario all'ultimo giro, scaricando terrificanti bordate di xenon sui miei retrovisori. Ho anche provato a farlo passare a un paio di slarghi illuminati, ma sapevo già che con l'auriga è tutto inutile finchè tieni i retronebbia in funzione; e infatti anche lui ha rallentato allargando a destra verso il bordo della strada, sempre martellando coi lampeggianti: flash, flash, flash. Finchè, allo stremo delle forze, li ho spenti, i retronebbia; e l'ominide, finalmente appagato, mi ha superato proprio nel bel mezzo di una curva a gomito senza visibilità, ma tanto c'era la nebbia, non ci si vedeva comunque un cappero e se veniva qualcuno dall'altra parte cazzi suoi. Ora, personalmente non ho niente contro i ma a te chi t'ha fatto scuola guida dì su, anzi: vorrei tanto che venissero salvati dall'estinzione immettendoli in habitat idonei appositamente allestiti per loro, che per brevità potremmo definire celle.