Perché diciamo grazie ai monaci della Birmania
03-10-2007 / A parer mio
di Daniele Lugli
In questi giorni molti si interrogano su come non lasciare soli i monaci e i cittadini birmani che lottano in modo nonviolento per un'esistenza libera e dignitosa. Credo che in primo luogo vada espressa la nostra gratitudine perché loro non ci hanno lasciati soli. Ci indicano una strada per uscire dalle strettoie, dai riti della politica e dell'antipolitica, urlati da differenti pulpiti, palchi e teleschermi, con scomuniche e invettive reciproche.
L'ascolto, la parola, la riflessione, il silenzio, la testimonianza mostrano la loro capacità di incidere in profondità anche nella difficilissima situazione birmana.
I monaci dicono che non si può realizzare né ottenere nulla di buono se non si ha sufficiente pace nell'anima. «Offrire aiuto ad un intero popolo senza abbracciare le armi è un dovere», affermano, «ogni monaco deve essere partecipe e sapersi sacrificare per lenire le sofferenze del popolo dove vive e pratica. Preghiamo perché tutto questo finisca e la Birmania possa contare su di un governo democratico».
Marciano a piedi scalzi. Hanno rovesciato le loro ciotole, perchè non vogliono accettare l'elemosina dai militari: "Io ti rispetto come persona, ma non accetto nulla dalla tua struttura di violenza".
Manifestano senza bandiere di parte, solo quella con il pavone, simbolo di libertà e democrazia. Hanno rinunciato a segni distintivi per identificarsi nella sofferenza del popolo. Dai loro cortei non si levano slogan e proclami, ma una sola frase, in forma di preghiera: "viva la democrazia". Non portano cartelli, né striscioni, perchè il loro corpo disarmato è il messaggio.
Nella nostra situazione di grande privilegio non vediamo comportamenti paragonabili da chi si pretende guida spirituale o è chiamato a responsabilità di potere, né comportamenti significativamente migliori ci sembrano provenire da quanti, in modo a volte clamoroso, li contestano.
Siamo grati ai monaci birmani, ai cittadini che li accompagnano e proteggono, perché ci ricordano il valore di un metodo e di scelte sottolineate da due date vicine: 2 ottobre, anniversario della nascita di Mohandas Gandhi, "Giornata internazionale della nonviolenza" indetta dall'ONU, e 4 ottobre, anniversario della morte di San Francesco d'Assisi, patrono d'Italia, ricordato come inventore del presepe piuttosto che come costruttore di pace in tempi di crociate e difensore di ogni forma di vita.
Siamo vicini ai fratelli monaci birmani e li ringraziamo ancora per la loro lotta che fa tanto bene anche a noi, che dobbiamo trovare la forza per liberarci dalle basi militari e dalle bombe atomiche presenti sul nostro territorio, per uscire dai conflitti armati nei quali il nostro paese è coinvolto, per costruire una democrazia degna di questo nome.