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L'autobus giapponese - Un ferrarese in estremo oriente

04-03-2008 / A parer mio

di Davide Bassi

La mattina seguente una grande bufera di neve, tutti gli studenti che solitamente arrivano al campus universitario sulla collina con i loro scooter hanno deciso di prendere l'autobus. Alle 8:51, alla mia fermata dell'autobus, la solita fila di quattro gatti in attesa di salire era almeno triplicata. L'autobus si ferma, apre la porta e... era completamente stipato! Ma come facciamo ad entrare anche noi 12?! Nessuna paura, per puro incantesimo ed alla faccia di qualsiasi principio fisico di incomprimibilità dei corpi, i giapponesi lentamente e con saggi movimenti dettati da una tradizione millenaria, si strizzano l'uno contro l'altro tanto da poter far entrare chiunque sul bus. Fino a quando tutti quelli che devono salire non lo hanno fatto, il bus rimane fermo in attesa: nessuno si lamenta, tutti comprendono. Vi chiederete poi cosa possa succedere alla fermata successiva per i poveri malcapitati che devono scendere!? Bene, al suono ininterrotto di "sumimasen" (espressione pronunciata in modo bi-tonale in elevare; significa "scusate"), come per magia, si apre un corridoio nel centro del bus fra due ali di jappi compressi: avete presente l'apertura del Mar Rosso? Le porte poi si richiudono, i volumi corporei riprendono l'originario aspetto, e via per la prossima fermata! È severamente vietato usare il cellulare sull'autobus ed in tutti i mezzi pubblici (treno, metropolitana): nessuno quindi che racconta pubblicamente a voce alta i propri interessi. E poi qualcuno dice che gli italiani sono riservati e ci fanno anche firmare l'accettazione della privacy. Ad ogni fermata, una voce suadente e sensuale femminile anticipa il nome della fermata, a seguire la voce mugugnata (e probabilmente in dialetto) dell'autista ripete il nome della fermata: vogliono essere sicuri che chi esce sia davvero sulla giusta strada! Pensate se sbagliassi fermata solo perché persuaso dalla voce femminile: esco, mi guardo in giro e... ma nooooo, non è qui che volevo scendere! Provo ad immaginarmi lo stesso sistema a Ferrara. Autobus numero 11, fermata di Piazza Travaglio, la voce femminile: "Stiamo per raggiungere la fermata di Piazza Travaglio, chi è intenzionato a scendere si avvicini all'uscita, prego". L'autista: "A sen' adré arivar in Piaza Travai. I barbagian chi dev'andar a ciacarar sul Listòn, tachi a' smisiaras!". Però che bello l'uso di "barbagian": me li vedo questi ferraresi, infreddoliti ed intenti a lamentarsi delle ultime novità lette sul Carlino ma uniti assieme nell'unico spicchio di tepore solare sul grigio Listone! Non ricordano gli "omonimi" saggi uccelli allineati lungo un ramo umido di brina? All'uscita dall'autobus bisogna pagare il biglietto prelevato all'entrata da un distributore automatico. Sopra all'autista vi è un tabellone elettronico che specifica il prezzo del biglietto per ogni fermata. Si paga direttamente di fronte all'autista il quale, per ogni passeggero in uscita, verifica il pagamento e ringrazia. Ed ora, tutti a casa, stanchi e stressati. Morale: (a) per il jappo: non avere fretta, tanto l'autobus fa sempre quel tragitto e deve arrivare in orario a tutte le fermate; (b) per il ferrarese: spingi, impreca, lamentati, sbuffa, rispondi al cellulare e se hai ancora energie. non pagare il biglietto!