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Il suono iraniano del silenzio

28-05-2008 / A parer mio

di Luca Rossato

Se come cantavano Simon & Garfunkel anche il silenzio ha un suono allora credo di averlo sentito.
Lo sterminato deserto centrale iraniano mi si è aperto improvvisamente dinnanzi appena uscito dalla periferia di Yazd, una città costruita con fango e mattoni essiccati al sole.
Le rocce in frammenti di grandezza sempre diversa ma mai sotto forma minuta di sabbia creano strisce uniformi se guardo verso l'orizzonte dove un sole pallido mi abbaglia dolcemente.
Cammino tra quelle pietre millenarie e non perdo di vista la mia meta: le torri del silenzio, un sito zoroastriano dal fascino antico che hanno solo le cose troppo lontane da noi, spazialmente, temporalmente o culturalmente.
Rovine di quelli che erano depositi e ricoveri temporanei per uomini e animali ci conducono attraverso il sito. L'ascesa non è facile, si battezza una delle due colline sulle quali giacciono e si imbocca un sentiero, ovviamente sterrato, che conduce in cima.
Cammino, salto, mi arrampico ma alla fine sono arrivato, da un varco nell'imponente muratura della torre penetro al suo interno. Il buco al centro dello spiazzo centrale a cielo aperto mi ricorda la funzione di queste antiche strutture. Gli zoroastriani credevano nella purezza degli elementi naturali e che il contatto tra il cadavere dei loro defunti ed il terreno contaminasse quest'ultimo e così per l'aria in caso di cremazione di un corpo. Per questo motivo portavano i morti in cima a queste torri per essere spolpati vivi dagli avvoltoi, abitanti di queste montagne e di questi altopiani perché li disperdessero nell'immensa distesa desertica.
Mi fermo a pensare seduto sul muro di cinta, aiutato da un tramonto che lentamente svela tutta la sua bellezza sul vasto deserto sassoso. Che tipi questi zoroastriani, se fossero riusciti ad imporre la loro religione forse oggi vivremmo in un mondo meno inquinato! Invece sono solo poche centinaia di migliaia in tutto il mondo e depositari di una cultura dall'incerto futuro. Mi fa riflettere comunque la natura del loro pensiero, per noi sarebbe molto più comprensibile l'idea che il terreno o l'acqua possa contaminare il corpo di un nostro caro defunto e non il contrario.
Un rispetto per la natura che a noi risulta quantomeno bizzarro nella nostra civiltà di sprechi e poca attenzione verso l'ambiente che ci circonda.
Si narra che mentre i parenti aspettavano ai piedi della collina, nelle strutture ora in rovina, un sacerdote rimanesse con il cadavere, legato in posizione seduta, per testimoniare quale occhio l'animale avesse attaccato per primo; se fosse stato il destro sarebbe stato un buon segno per il futuro dell'anima del defunto.
Oggi si devono accontentare di seppellire i propri defunti in tombe rivestite di cemento per evitare la contaminazione di terra, aria e acqua i poveri zoroastriani…
Il vento soffia forte, ma non riesce a sollevare le pur minuscole pietruzze che compongono questo ambiente davvero poco ospitale per gli esseri umani. Il sole illumina una serie infinita di pali dell'alta tensione che corrono verso chissà quale agglomerato sperduto tra le rocciose montagne.
Ed il silenzio si fa sentire sempre più presente, in cielo volano strani uccelli, mi chiedo se siano i posteri degli avvoltoi spolpatori, ma sembrano troppo piccoli per esserlo. La quiete del luogo ti penetra dentro, capisci che siamo tutti parte di un puzzle immenso, come lo sono stati gli antichi seguaci di Zoroastro che ora riposano sparpagliati in pezzetti minuscoli tra tutti i sassi che costituiscono questo luogo.
Guardo Arami, giovane architetto iraniano, mentre si perde con lo sguardo verso l'infinito.
Pensoso mi chiede se, terminato il servizio militare obbligatorio di due anni, possa andare a studiare negli Stati Uniti o in Europa, mi elenca diversi siti web che ha consultato ed ha negli occhi la voglia di poter volare via lontano come gli uccelli che volteggiano sulle nostre teste.
Con tristezza mi dice che se sopravvive alla leva allora se ne potrà andare a studiare all'estero, una flebile speranza si accende nei suoi occhi mentre parla, forse per non pensare a quei due anni così pericolosi che lo attendono o ad un possibile conflitto proprio con gli americani dei quali ammira lo sviluppo tecnologico ed il modo di vita basato sulla libertà delle persone.
Allora capisci che la violenza non porta altro che violenza, che anche Arami così pacifico e aperto verso la nostra civiltà in caso di necessità difenderà la sua famiglia anche con i denti, come ognuno di noi farebbe al posto suo. Mi ricordo le parole di un commerciante di un bazar di Isfahan che ci ha accolti su un bel tappeto persiano offrendoci te e biscotti nel tentativo di venderci un suo pezzo pregiato.
Diceva, perché non possiamo vivere in pace ognuno con le sue tradizioni e costumi? Perché la nostra cultura deve essere contaminata dalla vostra in modo così pesante? Io non voglio vedere le vostre donne seminude in tv, non voglio vedere i vostri film amorali, non voglio ascoltare le vostre imprecazioni, non voglio mangiare il vostro fast-food o bere i vostri alcolici che ci riducono a creature prive della ragione, non voglio ascoltare la vostra musica a scapito della mia.
E' indubbio che la nostra civiltà stia insidiando la loro, non è un proporsi discreto e rispettoso di una cultura millenaria, è il palesarsi irruento, mediatico, di un modo di vivere basato sul profitto e sull'egoismo, sul prevaricare il prossimo per vincere, chissà poi cosa, è la legge del furbetto che si vanta di aver ingannato un altro suo simile.
I commercianti nei bazar condividono un forte senso comunitario, si aiutano vicendevolmente, spesso ho avuto il pensiero che fossero una cosa indistinta i vari negozi, uno stesso grande organismo commerciale. Si mandano clienti l'uno con l'altro, si scambiano denaro, battute, favori, e forse a fine giornata il profitto individuale è simile per tutti, per sfamare in modo eguale le loro famiglie. E' ovvio che questa concezione entri in contrasto con la nostra, ne risenta l'influenza e la temi come un cancro capace di diffondersi troppo velocemente per essere controllato.
Sono soprattutto i giovani i più attratti dal nostro modello di sviluppo, e ciò mi pone davanti a due pensieri antitetici: uno che mi porta a incoraggiare lo scambio di culture e tradizioni al fine di un reciproco arricchimento ed un altro che invece mi fa temere per la lenta distruzione di saperi e tradizioni millenarie.
La storia farà il suo corso, anche senza guerre e conflitti, il nostro modello si insinuerà nelle menti di tutti quei giovani ragazzi che tra qualche anno guideranno l'elite pensante di quei paesi.
Il percorso tracciato da Dubai è li di fronte a loro, occidentalizzazione e perdita graduale dei valori e tradizioni locali.
Un nuovo grattacielo sorge a Francoforte? Anche a Dubai. Autostrade e raccordi anulari invadono la periferia di Los Angeles? Anche a Teheran. Il lusso e lo sfoggio di auto sempre più potenti sono simbolo di potere a Mosca? Anche a Doha. Stiamo assistendo ad un terribile appiattimento delle diversità che da sempre ci hanno diviso e a volte messo gli uni contro gli altri. Ma non credo sia un bene, certo forse quando tutti saremo uguali con gli stessi sogni e le stesse idee, gli stessi valori, i conflitti termineranno ma con essi anche l'opportunità di confronto e reciproco scambio culturale.
La storia scriverà decine di pagine ancora, noi ne leggeremo solo alcune e così i nostri figli e nipoti.
Io mi tengo il privilegio di aver visto una cultura diversa e goduto di tradizioni che differiscono dalle mie, di una umanità ormai persa nelle nostre vite frenetiche e di piaceri semplici come quello di bere una tazza di te gustandomi un tramonto tra le rosse rocce delle torri del silenzio.
Proprio il silenzio è un altro suono che abbiamo ormai dimenticato perché sovrapposto ad altri molto più potenti, un elemento vulnerabile come le civiltà che stiamo lentamente modificando e che come il silenzio stanno subendo le influenze di un mondo che qualcuno, da quelle parti, si rifiuta ancora di accettare.