La tratta degli schiavi (e delle schiave)
16-02-2007 / A parer mio
di Claudio Cazzola
Questo non è un giorno come gli altri. Oggi si celebra l'anniversario della nascita del padrone di casa. Che non è un padrone come gli altri, ma appartiene ad una categoria sociale vituperata, offesa, insultata quant'altra mai, eppure allo stesso tempo temuta, venerata e sempre ricercata. Il nostro uomo, infatti, esercita la professione di tenutario di una casa di piacere: un mercante di carne umana, esibita in tutte le sue specie e sottospecie - bambini e bambine, ragazzini e ragazzine, giovinetti e prostitute esperte, di cui esibisce un catalogo sempre rinnovato ed accattivante. Ebbene, eccolo qui l'eroe del giorno, il cui nome è Ballione, mentre appare al pubblico nella veste di tiranno assoluto del proprio reame: egli comincia con la rassegna del reparto maschile della truppa, per così dire, chiamando fuori gli schiavi maschi con urla offensive e minacce di punizioni senza ritorno. Buoni a nulla, infingardi, sempre pronti a dire di sì ma a non eseguire mai gli ordini - tali appaiono i servi dalle parole del padrone - e, appena ti giri, ecco che arraffano, rubano, agguantano, bevono, mangiano, tutto questo nell'universo lessicale di Ballione, denso di paranoia e malato di delirio del potere: meglio, egli proclama, molto meglio mettere dei lupi a guardia di un gregge di pecore che questi farabutti a custodia della casa. Oltre che di tale corredo costellato di insulti, il lenone (questo il nome sociale del personaggio) risulta opportunamente munito anche di staffile robusto, atto a colorare immediatamente la pelle disgraziata dei sottoposti in una gamma di colori che nemmeno l'arcobaleno: la frusta delle parole e le parole della frusta sono gli strumenti di esercizio quotidiano di un potere fuori da ogni controllo, anzi, legittimamente codificato dalle norme vigenti. Dunque, dopo aver bistrattato a dovere il reparto maschile della familia, prima di recarsi al mercato per l'acquisto, eccezionale per un giorno eccezionale, di pesce, Ballione fa uscire dall'interno della casa le donne, cui sbatte violentemente sul viso un vero e proprio editto (così nel testo latino della commedia plautina Pseudolus al v. 172), come fosse una autorità divina. Infatti fa coincidere il giorno del suo compleanno con quello del giudizio per così dire universale, in quanto - egli afferma - solo quelle che riusciranno a costringere i loro amanti a versare regali in copia al festeggiato potranno continuare a vivere presso di lui. Proprio nel v. 176 troviamo due parole, in fortissima contrapposizione fra di loro, capaci di illuminare tutto un mondo, quello della società romana antica: si tratta di liberta e di venalis. La liberta (senza accento finale) è una donna di condizione servile che viene affrancata dal padrone con un atto di liberalità unilaterale, ma che non acquista affatto una libertà vera e propria, restando sempre in condizione libertina, cioè in una sottomissione a vita al suo patronus: tale sudditanza sostanziale viene dimostrata con l'ossequio, con la prestazione di servigi, con la nomina del patronus ad erede nel testamento. Come si vede, la condizione libertina non è la libertà, ma sicuramente si colloca ad un gradino di molto superiore, ed in uno stato di molto migliore, rispetto alla schiavitù. La quale è proclamata proprio dall'aggettivo venalis, che appartiene all'area semantica del verbo 'vendere', quindi indicatore di un oggetto (non di una persona) acquistabile, e vendibile, sul mercato: se le prostitute di sua proprietà non eseguiranno gli ordini, ecco la minaccia concreta della vendita, con tutte le conseguenze che ne derivano - cambiamento di casa, di padrone, di familia, con il terrore, sempre, di peggiorare le proprie condizioni di vita. Ed ecco che ad Edilia, per esempio, amica come è dei commercianti di granaglie, Ballione intima di raccogliere, presso i suoi spasimanti, frumento tanto quanto ne basti per un anno (!); Ecrodora, invece, concupita dai macellai, dovrà riempire di carne tre stanghe, che si curvino poi sotto il peso tanto da spezzarsi, altrimenti lei stessa sarà dal padrone infilata in un rampino e appesa al posto dei prosciutti; all'amica viceversa dei grossisti di olio, Sistilide, viene minacciata, se non si darà da fare, la punizione del culleus, cioè dell'otre in cui vengono rinchiusi, per farli morire tra atroci tormenti, i parricidi, gli adulteri ed altri criminali, con un devastante gioco di parole sull'otre, recipiente anche dell'olio, oltre che strumento di morte; infine, come punta più alta della lista, ecco Fenicia, beniamina dei politici più in vista, e questa volta l'ironia feroce viene effettuata sul nome proprio - se, pure lei, non raccoglierà preziosi presenti, avrà la pelle più fenicia della porpora fenicia, parola di Ballione. Come un generale comandante in capo, come un pontefice massimo, come addirittura un dio, il lenone non conosce alcun limite al suo potere, fatto di parole e di azioni concrete: ma qui non siamo nella realtà quotidiana, bensì davanti ad uno spettacolo teatrale, ove trionfa il rovescio esatto della dimensione storica. Ed infatti ecco lo schiavo Pseudolo appunto - che fornisce il nome alla commedia, pronto ad affrontare, con le uniche armi della mente, il feroce nemico, che sarà, come di regola nell'attesa del pubblico, da lui sonoramente sconfitto. Sulle tavole della scena.
Mentre stiamo rileggendo le commedie di Plauto, ed insieme leggiamo, sui quotidiani, notizie non nuove purtroppo ma sempre più allarmanti, sulla tratta degli schiavi, e delle schiave.