Quattro tempi per un orto
09-10-2009 / A parer mio
di Claudio Cazzola
Con la luna. Con la luna piena. Con la luna piena li devi guardare: l'irresistibile attrazione del biancore splendente in tutta la sua rotondità li attrae, costringendoli a spuntare dalla linearità del suolo livellato, i quarantanove guerrieri della notte. All'unisono si erigono con il solo capo, dritti e fieri nella loro vitalità; si guardano intorno, godono della assoluta solitudine che li circonda, a guisa dei Germani di Cesare, i quali stimano onore massimo l'avere intorno a sé quanto più possibile il vuoto. E intanto porgono orecchio compiaciuto allo stormire dei pioppi, invito a rievocare antiche mischie funeste, e scontri epocali, tanto che sembrano ricoprirsi di una colorazione bronzea, da elmi omerici.
Con l'alba. Con l'alba ottobrina. Con l'alba ottobrina li devi vedere: li circonda la magìa impalpabilmente consistente della nebbia, alleata da sempre della città di pianura. Escono fuori, i quarantanove folletti, dal tepore notturno, gioia segreta delle viscere della madre terra, per affidare la loro rosea testa all'abbraccio della «fumàna» padana altrettanto invitante. Lo sanno infatti, da sempre, che di lei, l'invisibile scudo madreperlaceo, si possono fidare senza riserve; lei li difenderà da ogni insulto, nascondendoli ai frettolosi bipedi che passano accanto, tutti impegnati a percorrere strade che non portano da nessuna parte - e se vi è raro viandante che si fermi, loro lo nutrono di quella sana perplessità che insegna a ricavarsi un momento per sé, a vedere ciò che si cela dietro il velo che ricopre ogni cosa.
Con il meriggio. Con il meriggio alto. Con il meriggio alto li devi contemplare. Lo sanno che è il momento di approfittare finché possono della luce, del calore, dell'alito di vita regalato dal Sole - consapevoli, mentre ne godono, che tale felicità dura un dito. Ma quel dito non lo disprezzano, i quarantanove discepoli di Helios, da lui addestrati a dovere a considerare la fenditura arsa del solco come passaggio segreto per scendere - e dunque per risalire. E la striatura violetta che ad intermittenze appare e scompare rimbalza, come per miracolo, sui paracarri ridipinti di bianco per l'occasione, oltre il ferro della cancellata che apre al mondo profano.
Con il tramonto. Con il tramonto ottobrino. Con il tramonto ottobrino ferrarese. Con il tramonto ottobrino ferrarese li devi ammirare. I raggi del sole, sempre più obliqui ormai, non ce la fanno più ad accarezzare le quarantanove «kòrai» - bianche fanciulle in fiore - che si preparano al rito della sera, quello di rimettere in ordine il tempio dopo il passaggio del dì. Hanno imparato come si fa, il rito è antichissimo e sempre nuovo: si traccia con il dito indice della mano destra un quadrato nel cielo, e senza tremare, pur avvertendo i brividi sacri, si tira giù questo spazio celeste al suolo, riproducendone la figura geometrica - magari con cinque metri per lato, e assumendone il numero quanto mai simbolico per organizzare tale «spazio ritagliato» (in greco «tèmenos», «templum» in latino, e «tempio» sia nella nostra lingua) popolandolo con le proprie presenze verginali di fanciulle: in sul far della sera.
- E tutto questo dove si trova, di grazia, sulla Luna?
- Non è escluso.
- E allora come faccio a rispondere al tuo quadruplice invito?
- Vai subito a Ferrara, in via Piopponi - che adesso chiamano con il nome augusto di Ercole I d'Este - , e lì troverai la Coltivazione di Pierpaolo Curti. Così, senza accorgertene, sarai il cinquantesimo (ancora il numero cinque!) della compagnia.