25 aprile: 'grazie a chi ci ha lasciato in eredità pace e libertà'
29-04-2010 / A parer mio
di Celeste, studentessa ferrarese
[Discorso pronunciato il 25 aprile 2010 in piazza Trento e Trieste in occasione delle celebrazioni ufficiali]
Buongiorno a tutti.
Può sembrare strano, e ad alcuni persino inopportuno, che nella ricorrenza del 25 aprile di quest'anno sia qualcuno che non ha ancora compiuto vent'anni a parlare da questo palco.
È' vero: la Guerra e la Liberazione noi le abbiamo conosciute soprattutto sui libri di storia. Tuttavia, quando in occasione di alcuni approfondimenti sull'argomento, ci è stato proposto di tenere qui, oggi, un discorso, abbiamo sentito il dovere umano e morale, di ricordare il sacrificio di donne e uomini che sono stati o sono ancora i nostri nonni.
Per questa opportunità, vogliamo pubblicamente ringraziare chi ha reso possibile la nostra partecipazione diretta e, a questo punto - credetemi - sentita, alla celebrazione della Liberazione. Ringraziamo in particolar modo il presidente dell'ANPI Daniele Civolani e il Tenente Colonnello Giorgio Anselmi.
OGGI, però, vogliamo ringraziare soprattutto tutti quelli che IERI hanno combattuto per la Liberazione di questo Paese: dall'esercito regolare italiano ai partigiani.
E' grazie a loro se oggi abbiamo nelle nostre mani un'eredità - o meglio un dono -: la PACE, la libertà di poter dire quel che pensiamo e quello in cui crediamo, di decidere del nostro futuro, di professare o meno una religione -qualunque essa sia-, di poter appartenere a qualsiasi etnia.
Per arrivare fin qui, si è dovuto sconfigger il Nazifascismo, in una lotta che ha visto uniti tutti gli italiani che credevano nella LIBERTA' E DIGNITA' dell'uomo quali valori fondanti di civiltà, al di là delle differenti appartenenze politiche e partitiche.
Dopo la Liberazione, sono rinati i partiti e i cittadini sono tornati ad essere i protagonisti della politica; ma soprattutto dalla Liberazione è nata la Costituzione Repubblicana, patto fra tutti gli italiani e strumento democratico da usare in pace per la pace.
La nostra generazione, come quelle dal 1945 in poi, è nata libera, non ha vissuto l'orrore, l'umiliante barbarie della Guerra e tuttavia non sempre è consapevole fino in fondo del valore della libertà, data troppo spesso per scontata.
Ma per tornare alla Costituzione, poiché noi siamo fortunati e a scuola ci è stato insegnato a riflettere in senso critico su ciò che ci circonda, ci pare che oggi non solo ci sia una sorta di indifferenza nei confronti della Carta Costituzionale ma che essa venga spesso disattesa e persino attaccata nei suoi principi fondamentali.
Come sostiene Piero Calamandrei, e permettetemi di citarlo direttamente, non dobbiamo dimenticarci: "quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro a ogni articolo di questa Costituzione voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, morti per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché LIBERTA' E GIUSTIZIA potessero essere scritte su questa carta".
Noi siamo fortunati, dicevo: a noi è concessa la possibilità di studiare, di conoscere la storia e di farcene un'opinione e di essere anche consapevoli del fatto che la distruzione del passato, o meglio dei meccanismi che connettono l'esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti è un fenomeno che caratterizza questi ultimi decenni.
Siamo consapevoli del fatto che la maggior parte dei giovani fra la fine del Novecento e il nuovo millennio, è cresciuta in una sorta di presente permanente nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono.
Indagini condotte di recente ci pongono davanti a una situazione avvilente: falsi storici, luoghi comuni, vuoti di memoria, pregiudizi che sembrano informare la cultura giovanile.
E se non è facile indicare le cause di questo "vuoto di memoria", possiamo però dire che si è definitivamente consumata la crisi fra cittadini e politica, crisi che ha significato il declino dei valori collettivi e il rifugio nella dimensione del "privato".
Insomma, il disinteresse per la politica ha comportato quello speculare per la storia.
E' comunque ingiusto accusare tutti i giovani di indifferenza, in quanto noi - e speriamo anche i nostri coetanei - riteniamo un dovere civile esercitare il diritto di voto, diritto che la Liberazione ha esteso anche alle donne, anche se pare che mai come ora le generazioni scolarizzate abbiano sofferto di così enormi debiti nei confronti della storia.
Tuttavia, se noi oggi siamo qui, significa che esiste un sommerso di curiosità, di interesse, di serio entusiasmo per la storia.
Bisogna rimettere insieme storia e presente: questo rappresenta il fondamento per un'ipotesi sul futuro.
E il futuro si costruisce consapevolmente solo attraverso la partecipazione alla vita civile. E se noi abbiamo cominciato questa pratica votando quest'anno per la prima volta, la partecipazione alla vita civile nei momenti di più tragico bisogno, come dopo l'8 settembre del 1943, finisce per risolversi sempre in azione.
Più di vent'anni di dittatura fascista non possono essere imputati solo ad un gruppo di oppressione e a un dittatore, ma anche alla responsabilità di chi ha lasciato che tutto ciò accadesse.
Non c'è un mondo politico cattivo e una società civile buona: di fronte a questa stupida banalità, la risposta è la diretta partecipazione alle questioni che riguardano noi tutti.
La responsabilità politica comincia dal sé, da ciò che ciascuno può fare nel proprio mondo, a cominciare dagli amici, dalla famiglia, dalla scuola, dal posto di lavoro, fino ad un eventuale impegno civile o istituzionale vero e proprio.
E allora, già che ci siamo, e fuori da qualsiasi retorica, anche il Risorgimento - dato che nessuno alla vigilia del 150° anniversario dell' Unità d'Italia sembra volerselo ricordare - e soprattutto la Resistenza sono l'esempio straordinario dell'impegno personale, diretto di tanti italiani alla costruzione del loro e del nostro futuro.
Ce lo hanno dimostrato i giovani soldati morti a Monte Lungo e in molte altre battaglie e i tanti partigiani che hanno sacrificato le loro vite per conquistare la libertà.
Leggendo lettere e testimonianze di chi ha combattuto, spesso morendo per la libertà, si coglie come nella lotta vi sia un atteggiamento "costituente", a dire che quei problemi andavano risolti in modo duraturo, per evitare che si presentassero ancora. Occorreva immaginare la struttura della futura democrazia dello stato a venire se si voleva evitare un nuovo fascismo.
E' questo atteggiamento costituente e costruttivo che distingue in modo netto e definito la violenza dell'oppressione, dalla lotta dell'oppresso.
Siamo consapevoli del fatto che le celebrazioni della Liberazione sono per molti di voi una pratica, un'esperienza consolidata; PER NOI rappresentano la scoperta della necessità di continuare a ricordare, perché non c'è retorica né semplice consuetudine nel vivificare il passato, che è la condizione del nostro presente.
Celeste