Viva il Tricolore
05-10-2010 / A parer mio
di Liana Romano
Sabato 11 settembre 2010, non è stato un giorno qualunque a Ferrara.
Non è mai un giorno qualunque, l'11 settembre, da quando abbiamo visto crollare le torri gemelle di New York. Ma quest'anno, per la città di Ferrara, questa data ha rappresentato un altro motivo di inquietudine.
La rossa Ferrara, da oltre 60 anni dominio incontrastato della Sinistra, l'11 settembre 2010, è apparsa - per dirla con Umberto Bossi - improvvisamente colorata di verde. Camicie verdi, cravatte verdi, foulard verdi, persino orecchini verdi
Il popolo leghista era immediatamente riconoscibile ed occupava uno dei luoghi più importanti della città: la piazza sormontata dal bel Castello Estense.
Possibile? Possibile - chiedeva indignato un nostro amico, la sera precedente - possibile che a Ferrara si conceda la piazza forse più bella - o almeno una delle piazze simbolo della città - ad una festa della Lega Nord, alla festa di un movimento, cioè, che ha nel proprio programma la cosiddetta liberazione della Padania e che in più occasioni ha messo in discussione l'unità d'Italia e la sua rappresentazione simbolica nel tricolore?
Così, quasi all'improvviso, abbiamo deciso che non si poteva restare inerti e che dovevamo tingere di tricolore quella piazza.
O, meglio ancora, abbiamo voluto riappropriarci della nostra italianità che avvertivamo, in qualche modo, minacciata.
Eravamo un piccolo gruppo di circa dieci persone, con la Costituzione e la bandiera tricolore in mano, pronti a sfidare la folla per riaffermare che noi siamo Italiani. Un gruppo che, al di là delle sigle di appartenenza, io preferisco definire di "Cittadini", perché la difesa del proprio Paese non ha un colore di partito, ma appartiene a tutto il popolo nell'esercizio della sua sovranità.
Eravamo un gruppo di cittadini consapevoli che il diritto era dalla nostra parte e volevamo riaffermarlo.
Un'azione sovversiva? Un'azione provocatoria? Niente affatto. Un'azione che ogni cittadino italiano dovrebbe sentire il dovere di compiere, se tiene alla dignità propria e del proprio Paese.
In qualunque paese del mondo, in qualunque nazione la bandiera è un simbolo la cui sacralità non può essere messa minimamente in discussione. Tuttavia, noi non abbiamo tardato molto ad avvertire che, in Italia, non è così. Quando abbiamo spiegato il tricolore, nel mezzo della piazza colorata di verde, siamo stati subito circondati da gruppi di ragazzi i quali, sventolando le bandiere con i simboli della Lega, hanno teso ad oscurarci. Ma ciò che ci ha stupito di più sono state le parole dei rappresentanti della questura che, dopo essersi inseriti tra il nostro gruppo e quello dei giovani leghisti, ci hanno pregato cortesemente di non procedere oltre, di fermarci lì, a metà della piazza, perché, altrimenti, non sarebbero stati in grado di "proteggerci".
Proteggerci? - ho chiesto incredula - proteggere dei cittadini italiani che, in Italia, espongono la propria bandiera nazionale e la propria carta costituzionale?
Sì - mi è stato risposto da uno dei rappresentanti della Questura, per altro gentilissimo - perché è come se in uno stadio due tifoserie venissero a contatto.
Il fatto che la nostra bandiera nazionale venga assimilata a quella di una qualunque squadra di calcio, che militi nei nostri campionati, io credo che abbia in sé qualcosa di tragico e di paradossale. Tuttavia, siccome non si tratta di una frase amena gettata lì da un poliziotto, ma al contrario è una frase che è stata ripetuta - a quanto mi risulta - anche il giorno dopo, a Venezia, da altri rappresentanti delle forze dell'ordine, bene, io credo che meriti un attimo di riflessione, se non altro per far luce sul tragico destino del popolo italiano
A centocinquanta anni dalla proclamazione dell'unità d'Italia, le esperienze di questi giorni ci inducono a pensare che il simbolo della nostra identità nazionale appaia ancora oltre modo fragile tanto da poter essere paragonato a quello di una squadra di calcio. Ed infatti, non è un mistero per nessuno che il nostro orgoglio nazionale ha sempre trovato la sua massima espressione durante i campionati calcistici del mondo. Solo allora le finestre e i balconi delle famiglie italiane hanno lasciato e lasciano tuttora sventolare il Tricolore.
Possibile allora che l'Italia esista, nell'immaginario popolare, soltanto come squadra di calcio?
Eppure il Tricolore è stato assunto come bandiera italiana nell'art. 12 della Costituzione, fin dal 27 dicembre 1947, ed il Codice penale all'art. 292 sancisce sanzioni diverse nei confronti di chi, in vario modo, possa offenderlo.
E allora? Come si spiega questa anomalia?
Con molta amarezza io credo che si debba riconoscere che in Italia non c'è mai stata, dal secondo dopoguerra ad oggi, una vera e propria spinta culturale verso l'unità nazionale.
La storia italiana, dalla fine della Seconda guerra mondiale, si è venuta dipanando attraverso i conflitti ideologici, attraverso gli scontri tra partiti, senza mai andare al nodo più profondo dei problemi.
Così, mentre la nostra unità si è consumata attraverso una storia di stragi che hanno insanguinato la penisola, dalla Sicilia alle Alpi, senza che mai si riconoscesse la radice comune di quegli scempi, al tempo stesso abbiamo avuto un Paese la cui cultura si è appiattita nell'uniformità del messaggio televisivo e negli interessi di mercato, elementi che, entrambi, non potevano, per la loro stessa vacuità, rappresentare un vincolo unitario, ideale e profondo.
Divisi tra Destra e Sinistra, tra Comunismo e Anticomunismo, gli Italiani hanno attraversato gli anni della Storia preoccupandosi più dell'appartenenza ad una determinata ideologia che non dell'appartenenza ad un unico paese. Allo stesso tempo, mentre la lingua e le consuetudini si andavano omogeneizzando da Nord a Sud, la competizione del mercato e la società dell'apparire hanno spezzato i vincoli di solidarietà ed hanno condotto il popolo italiano a vivere, come in un grande condominio, dove le persone si ritrovano le une accanto alle altre, senza riuscire a comunicare e a conoscersi.
Disinformazione e pregiudizi hanno fatto da padroni. E ancora una volta il popolo italiano è stato smembrato, se non tra potenze straniere diverse, tra ideologie contrapposte, al punto che, negli anni di piombo, abbiamo vissuto una vera e propria guerra civile. E guerra civile può essere intesa anche quella che ha insanguinato e insanguina tuttora varie regioni del Sud e che, nei collegamenti con il Nord, trova tuttavia le proprie radici.
Ma tutto questo è accaduto davvero per caso o è stato voluto?
Non è qui il caso di ripercorrere la storia del nostro Paese né di ricordare il ruolo strategico che l'Italia occupa nel Mediterraneo: basta però riflettere sul fatto che un popolo diviso è sempre stato più dominabile.
Ed è interessante osservare, infatti, come - conclusasi la guerra fredda e crollato il muro di Berlino - in Italia, venuta meno, cioè, la principale ragione di divisione ideologica, si siano quasi cercati nuovi motivi per dividere il popolo, o almeno per trovare una giustificazione o un "capro espiatorio" cui addossare le responsabilità di ogni problema economico e sociale.
Così, mentre la bandiera rossa, crollato il Comunismo, diventava sempre più sbiadita, dall'altro lato avanzava, almeno nel Nord del Paese, la bandiera verde del popolo "Padano": un'altra bandiera, dunque,ed ancora un altro motivo di divisione per il popolo italiano, questa volta tra il Nord e il Sud.
È interessante notare come la Lega, al contrario dei partiti tradizionali che affondavano le loro radici nelle grandi ideologie, abbia puntato subito sulla costruzione di una identità locale nella certezza che questa identità, certamente limitata, ma più facilmente percepibile, avrebbe potuto facilmente prendere il sopravvento sull'identità nazionale che il dopoguerra - tra l'altro - non ha mai tentato minimamente di costruire o di alimentare.
Si può dire persino che, con il suo richiamo alle tradizioni più antiche, la Lega sia apparsa quasi svolgere un'azione culturale, quale il riconoscimento di culture diverse e l'esaltazione delle identità specifiche delle regioni e dei paesi, ma questa "diversità" è stata poi strumentalizzata e piegata ad un uso politico. Piuttosto che essere armonizzate ed essere sentite come fonte di arricchimento reciproco, le diversità culturali sono state utilizzate dalla Lega per stabilire dei gradi di qualità tra le culture, per propagandare una presunta superiorità di una cultura su un'altra e per dividere il popolo italiano in fazioni opposte tra loro a seconda della dislocazione geografica e territoriale. Questo è l'aspetto più pericoloso ed è quello che ha trasformato il discorso culturale in una scelta anticulturale infarcita di pregiudizi.
Non è difficile osservare, ad esempio, che, mentre il Sud viene connotato, secondo gli stereotipi più diffusi, come il luogo della delinquenza, della sporcizia e della mafia, la Lega si preoccupa di dare al Nord o ai "Padani" tutte le qualità positive dei popoli, come l'operosità, il decoro e l'onestà, dimenticando che le organizzazioni mafiose hanno trovato, spesso, proprio nella connivenza di un Nord affaristico, la loro prima ragione di esistere e di lucrare.
Allo stesso modo, il migrante è rappresentato nelle forme più cupe e più minacciose. È sempre e soltanto un potenziale delinquente e la sua cultura è sentita come un pericoloso inquinante rispetto alla cultura dei popoli che si riconoscono nella Padania.
Tutti i problemi italiani, da quello economico a quello sanitario o ambientale, trovano una spiegazione semplicistica, ma di facile presa su un pubblico disinformato. La responsabilità di ogni male è sempre e comunque riferita alla presenza di chi è "altro", cioè, del meridionale o del migrante, insomma di chi è "diverso": dalla maestrina siciliana che cerca un posto di lavoro nel nord del Paese, al bambino, figlio di immigrati, che frequenta la scuola elementare, per non parlare dei rifiuti che - chissà perché - vengono sempre e soltanto dal Sud.
Non è difficile comprendere come, in questo modo, la spiegazione di ogni problema diventi semplice e consenta una soluzione non solo facile, ma anche vantaggiosa per chi è davvero responsabile dei vari disastri. Invece di affrontare il nodo dei problemi, infatti, e invece di attribuire le responsabilità di essi a quei poteri che li determinano, avvantaggiandosene attraverso un sistema di corruzione e di arricchimento, si scaricano su chi è più debole tutte le frustrazioni di colui che subisce le conseguenze del malgoverno.
Si alimentano così odi incontrollabili sia tra le popolazioni locali e chi è immigrato, sia tra gruppi appartenenti alla medesima popolazione italiana, ma dislocati su aree geografiche diverse.
Può apparire strano che un discorso così rozzo - come quello che ci propina la Lega Nord - possa essere condiviso o possa attecchire in un Paese, come l'Italia, che rifiuta, per tradizione e per cultura, ogni forma di razzismo e di discriminazione. Tuttavia, bisogna riconoscere che, invece, oggi tutto questo accade ed assume anche una maggiore pericolosità rispetto a quanto avvenne per le leggi razziali diffuse durante il Fascismo.
Allora, durante il Fascismo, la religiosità cattolica popolare e i vincoli di solidarietà erano ancora vivi e profondi nella popolazione. Oggi, invece, la riduzione della vita sociale a mercato e a spettacolo ha acceso competizioni che favoriscono la conflittualità tra gli esseri umani. La crisi economica, poi, in cui si sta inoltrando il Paese, fa presagire l'arrivo di tempi bui che si potrebbero superare meglio - e in modo molto meno doloroso - se fossero preservati i valori di solidarietà, mentre in assenza di questi rischiano di divenire estremamente inquietanti..
L'elettorato della Lega Nord è costituito in gran parte da piccoli, medi imprenditori o da commercianti, da coloro, cioè, che nello Stato vedono un soggetto di rapina che opera attraverso la tassazione dei loro guadagni, autonomamente prodotti, senza che, a questa tassazione, si faccia poi seguire l'elargizione di servizi efficienti. Il grido "Roma ladrona" ha, nell'immaginario leghista, questa connotazione. Ed è un aspetto da non sottovalutare, se si vuole davvero comprendere il motivo profondo della diffusione della Lega nel Nord del Paese.
Tocca agli intellettuali e agli uomini di cultura cogliere il significato dei messaggi, farsi interpreti dei malesseri sociali, farsi intermediari tra la fascia più minuta del popolo e le classi dirigenti del Paese. Mai come in questo momento - di grande pericolo per la solidità democratica dell'Italia - occorre che la Cultura discenda dal proprio sovramondo dorato e si faccia testimonianza civile e lotta in difesa dei più alti principi sanciti dalla nostra Costituzione. Una lotta pacifica - beninteso - ma ferma e vigile, che rifondi l'unità del Paese sulla base delle comuni esperienze che lo hanno travagliato e sulla ricerca di una qualità etica che è stata disintegrata dagli ingranaggi di un Sistema oscuro.