Michelangelo Antonioni e la religiosità di Vito Mancuso
29-09-2011 / A parer mio
di M.Cristina Nascosi Sandri
[Nella foto: Michelangelo Antonioni e il suo Leone d'oro per Deserto Rosso, alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia del '64]
Antonioni: 99 anni il 29 settembre e la religiosità di Vito Mancuso
A chi, in un'intervista di qualche decennio fa, aveva chiesto ad Antonioni se credesse in Dio, il nostro grande regista aveva risposto, con apparente levitas: "Qualche volta di notte".
Apparente levitas, si diceva, per quest'uomo che ha percorso con il suo pensiero, con la sua arte cinematografica a tutto tondo precorritrice ed antesignana - come sempre accade agli autentici intellettuali - tutto il Novecento, perché, in realtà, la sua risposta racchiudeva una religiosità non comune.
Una religiosità, non una religione, forse 'laica', ma quanto profonda, potente, intrisa di rispetto per l'altro da sé, ad ogni costo.
Un po' come quella che, ovviamente mutatis mutandis, ha dimostrato con le sue mozioni, Vito Mancuso, fervido credente, docente di teologia, presso la Facoltà di Filosofia dell'Università San Raffaele di Milano, offrendo a Ferrara nei giorni scorsi, nel giro 'italiano' di presentazioni del suo ultimo libro, Io e Dio, una guida dei perplessi, èdito da Garzanti e in distribuzione presso la Feltrinelli di Ferrara.
"Bisogna tornare al pensiero elementare della vita - ha dichiarato lo studioso, tra l'altro - avendo per essa rispetto, anzi, meglio, reverenza se si vuole tradurre letteralmente quanto diceva e propugnava Albert Schweitzer, nato filosofo, ottimo musicista che poi divenne medico ( e che medico!) specializzato in malattie tropicali all'ospedale di Lambarené". Il principio ispiratore di questo suo ultimo volume gliel'ha dato uno dei suoi figlioli che una mattina gli chiese, con il candore ed il disarmo tipico dei bambini:
"Papà, chi era quello che doveva uccidere il figlio per volere di Dio?".
Per Mancuso - altro avvallo del rispetto, della reverenza per la vita e, dunque, dell'Altro da Sé, oltre che di religiosità è un fattore geo-politico senza il quale non si può governare il mondo, mentre la religione priva della capacità di creare cultura, vivendo solo di superficiale spettacolarità.
La vera differenza non è dunque, per il teologo, tra chi crede e chi non crede, ma fra chi pensa - riuscendo ancora a farlo con stupore, un po' come quello dei bimbi che vanno scoprendo ciò che li circonda, incantati - e chi non pensa. Mistero è tacere, per gustare appieno qualcosa di globale o, forse, di cosmico: magari qualche volta, di notte.