Gianfranco Rossi e Giorgio Bassani, dodici anni dopo
16-04-2012 / A parer mio
di Maria Cristina Nascosi Sandri
A tanto, ormai, risale la loro scomparsa. Strane esistenze interludiche, le loro - per parafrasare 'lievemente' il titolo di uno dei migliori drammi di Eugene O'Neill - vite sospese di due Ebrei, tra talento e leggi razziali, scrittori, artisti, parenti tra loro, mancati a poche ore di distanza l'uno dall'altro, tra il 12 ed il 13 di aprile del 2000.
Li univa, peraltro, il grande amore per le loro radici, la loro città - e quello di Bassani sarà ben ricordato, per fortuna, a breve, nel corso degli eventi relativi alla 3a edizione della Festa del Libro Ebraico di Ferrara
E, in funzione di questo grande amore, grande altrettanto fu l'innamoramento di Giorgio Bassani - oltreché per la cultura italiana e non solo - quello, vieppiù, per la lingua dialettale di casa sua che, diceva, trovava sempre il modo di uscire allo scoperto nell'autentico Cittadino Estense:
"Il vero ferrarese - soleva dire - si esprime in italiano, ma termina ogni suo ragionamento con una frase in lingua dialettale, per rafforzare quanto vuole esprimere".
E una parola in gergo ferrarese (quello che nel '500, già esistente, era denominato la Lingua Zerga) di grande forza, musare (ceffi, in lingua italiana, n.d.r.) appare in una delle poesie più significative di Bassani, CAMPUS (dalla silloge In gran segreto, Milano, Mondadori, 1978), a stigmatizzare l'insipiente qualunquistica ignoranza di chi considera la vera cultura cosa di poco conto, come dire, sempre nella nostra lingua dialettale... da pùlpit a pulpéta... l'è cumpàgna...
Con essa Bassani si rivolge a Mario, suo amico e sodale da sempre, che altri non è che il regista Mario Soldati, un altro notoriamente 'innamorato' del nostro territorio, dati i servizi televisivo-cultural-gastronomici dal titolo Viaggio lungo la Valle del Po che, com'è noto, girò dopo la metà degli anni Cinquanta nel nostro territorio.
In Campus, vale sempre ben la pena di ricordarlo - ancora shakespearianamente caso, destino? - è citato un altro 'nostro' grande, Michelangelo Antonioni.
CAMPUS
Richiamandosi imperterriti alla qui ormai universalmente riconosciuta
opportunità dei confronti infra ed extra senza più la minima remora insomma a ruota libera
- né sto a descriverti le musare Mario mio che quelle puoi di sicuro immaginartele -
si considera più affine al Manzoni - interrogano dolcemente - oppure al ferrarese Antonioni?
Opta per la linea Bernini-Borromini-Fellini diciamo o per quella Giovanni Verga-Rossellini?
E Verdi? Non sembra a lei che Giuseppe
Verdi ricordi come fenomeno un po'
il nostro Gershwin?
E quel particolare cattolicesimo post-tridentino che solum è lombardo
opera secondo lei più in Vincenzo Monti o di più in Luchino
Visconti? E va bene Lotto
e Bellotto e persino Giotto
ma e Zanzotto?
E lei medesimo infine in che rapporto si sente
col Boccaccio?
Questo è all'incirca ciò che mi chiedono non pochi importanti
cervelli in giro come se niente
fosse talché più morto che vivo delle due l'una o di
botto li abbraccio ovvero spezzato
giusto a metà da una gran
tosse fronte ai ginocchi ho cura di coprirmi ben bene
con entrambi le mani il viso
Ecco quanto carissimo però per dirla
col vecchio Griso è dura