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Antigone rivisitata alla Porta degli Angeli

15-10-2012 / A parer mio

di Claudio Cazzola

La magia di un luogo acquista credibilità in rapporto alla quota di condivisione interiore della comunità cui appartiene. Ottimamente ristrutturata e riconsegnata alla città di Ferrara appare oggi la Porta degli Angeli - vulgo "casa del boia", abitazione ove mai ha messo piede un personaggio di tal genere, essendo essa a suo tempo adibita, in realtà, a posto di guardia. La posizione del manufatto è invidiabile, visto che costituisce il punto di convergenza di tre direttrici. Collocatici infatti di spalle e alzati gli occhi, ripartiamo in tre riprese il tempo del nostro sguardo. Se teniamo fissa la vista in direzione retta, si giunge, accompagnati dalla dirittura di corso Ercole I d'Este già via Piopponi (e nel tratto viciniore le piante testimoniano tuttora la denominazione precedente), l'occhio non teme di perdersi all'infinito, in quanto fa da usbergo massiccio la mole del Castello di San Michele; la prospettiva di destra conduce, a sua volta, a raggiungere senza fatica il Torrione del Barco, mentre nella direzione opposta la fantasia vola fino alla conturbante, e minacciante sempre, potenza della Serenissima.
Ebbene, non sarà certo un caso se proprio il punto d'unione del trivio sopra descritto ha ospitato, nel mese di settembre 2012, la mostra intitolata "Skenè", costituita da opere di Silvia Infranco, una giovane Artista attiva nel vicino capoluogo bolognese. L'evento, inserito nel progetto "Dentro le Mura" del Comune di Ferrara, promosso e sostenuto dal Dipartimento della Gioventù presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall'Associazione Nazionale Comuni Italiani, ha beneficiato della collaborazione concreta e fattiva di Arch'è - Associazione Culturale Nereo Alfieri, al cui invito si deve la presente comunicazione. L'Artista in questione si è cimentata con un trittico del repertorio tragico ateniese del quinto secolo avanti Cristo, ed un trittico non da poco: le opere dedicate alla vicenda di Edipo hanno trovato posto al piano terra (primo livello), quelle che si confrontano con le Baccanti al secondo livello, ed infine, terzo ed ultimo riscontro, Antigone - non sfugga l'ovvia constatazione che pure l'edificio si presenta tripartito… Ed è proprio la 'fabula' di quest'ultimo personaggio a richiedere l'attenzione esclusiva del pubblico presente, proprio alla luce del luogo medesimo che ospita tutti quanti gli attori dello spettacolo. Ecco infatti, proprio davanti a chi sta parlando e alle spalle di chi ascolta, il Castello Estense, luogo del potere politico, ivi ben rinserrato e protetto da robusti bastioni, dal cui ponte levatoio esce un editto ineludibile per i sudditi: dei due fratelli figli di Edipo che si sono uccisi a vicenda, Eteocle e Polinice, il primo riceverà esequie a spese dello Stato in quanto difensore della città, mentre il corpo del secondo, che ha osato prendere le armi contro la patria, dovrà restare insepolto, ad eterna infamia. Alla destra dell'affabulatore e perciò alla sinistra dei presenti si erge non tanto il Torrione del Barco, come da toponomastica municipale, bensì il bassaniano Barchetto del Duca, luogo mitico della discesa all'Ade. Da un lato infatti Antigone, figlia di Edipo e sorella dei due già nominati, non intende ubbidire al bando del 'tyrannos' Creonte fratello della propria madre e reggente al trono, ma persegue fino all'autodistruzione il proprio piano, quello di dare al cadavere di Polinice almeno una parvenza di onori funebri; ella, sorpresa in flagrante dalle sentinelle di ronda e processata seduta stante, è condannata a morte mediante la sua reclusione in una prigione sotterranea - una vera e propria discesa, ella ancora viva, al regno dei morti. Medesima esperienza viene tentata dall'eroe del "Giardino" bassaniano, allorché, subìto lo smacco scolastico della non promozione a giugno, fugge dal consorzio civile e si addormenta nel sonno della morte razionale proprio in corrispondenza di codesto 'montarozzo' (è il termine che consente di legare l'avventura ferrarese al prologo etrusco del romanzo medesimo). In tale dimensione spazio-temporale di morte, rinvio alla necropoli laziale e sospensione di ogni rumore umano, avviene l'epifania di Kore, la fanciulla infera, che si sporge dalla sommità del muro di cinta che circonda la 'magna domus' dei Finzi-Contini: Micòl, il personaggio che sta sul limite, sul confine, sulla soglia fra i due mondi, quello dei morti, che sono autenticamente vivi, e quello dei dotati di respiro materiale, viceversa defunti da sempre. E allora, come l'antica eroina Antigone viene rinchiusa nella tomba-stanza nuziale visto che intende ricongiungersi con il fratello trapassato, così l'io narrante bassaniano aspira ad una intimità totale con Kore-Micòl, rifacendo il rito della 'nekuya' o catabasi, scendendo nel buio dell'aldilà all'interno del 'montarozzo': ma il tentativo fallisce, in quanto l'itinerario iniziatico viene turbato dall'incapacità dell'eroe di essere all'altezza del compito. Perché? Perché "noi non viviamo più all'età d'Omero, e quindi ci è difficile trovare qualcosa in cui credere" (da una lettera inviata dallo scrittore alla sorella Jenny dal carcere ferrarese di via Piangipane: Bassani 2001, p. 959).
Epperò vi è una terza direzione che può delinearsi rispetto al nostro crocicchio di tre strade, quella che rinvia al mito di Edipo. Giovane virgulto costui, cresciuto nella felice ignoranza in quel di Corinto, scopre all'improvviso di non essere veramente colui che fino a quel momento egli si è creduto, allorché in un litigio con un coetaneo gli viene rinfacciata la propria condizione di 'bastardo' (egli ignora di dovere la vita alla pietà, che si svelerà nefasta, di un servo, il quale, invece di ucciderlo come da ordine ricevuto dal re di Tebe Laio, lo abbandona, con i piedi forati, sul monte Citerone, ove sarà raccolto da un suo collega al servizio del re di Corinto, privo a sua volta di figli). Terrorizzato a morte, insoddisfatto delle rassicurazioni della coppia sovrana dei presunti genitori, si reca a Delfi - e per noi, questa sera, il luogo dell'oracolo coincide con il Barchetto del Duca; sconvolto dalla rivelazione divina, secondo la quale egli avrebbe ucciso il padre e giaciuto in intimità con la madre, fugge a precipizio dal santuario di Apollo, e, proprio in questo incrocio dove noi siamo fermi, trova il Destino. Indietro verso Delfi mai e poi mai, altrettanto in direzione di Corinto per il timore di inquinare i suoi - lontano, nello spazio indefinito, la Serenissima, alla sinistra di chi parla ed alla destra dell'uditorio: e, dunque, altra scelta non v'è che iniziare il cammino su via Piopponi, che porta, dirittamente e direttamente insieme, nel Palazzo del Potere, ove il giovane, diventato adulto per aver superato il rito di passaggio dell'uccisione, sulla via, di chi intendeva sbarrargli il passo (il padre suo), conquista quello che egli ritiene il successo pieno, il regno, sposando la regina ora vedova. Ma, ancora una volta, effimero e fallace si dimostra poi, con il trascorrere del tempo, codesto itinerario di maturazione, laddove la constatazione di aver compiuto, senza esserne consapevole, proprio le due azioni indicibili a lui vaticinate, precipita il nostro eroe nell'abiezione completa. Il dio della profezia si esprime per enigmi, lo si sa; ma il fatto è che impossibile risulta, per l'uomo, lo sforzo di completa e autentica conoscenza del significato del responso ricevuto, se non, fatalmente a posteriori. Simile la condizione dell'io narrante del "Giardino" bassaniano, la cui avventura ne certifica il fallimento totale, a cose compiute: si parte da Roma per visitare, senza alcuna programmazione preventiva, un luogo di morte (la necropoli: e siamo nel Prologo); ci si sposta a Ferrara sulle Mura urbane (primo capitolo, sei paragrafi); si sorpassa il muro di cinta della 'magna domus' per fare la conoscenza del giardino (cinque paragrafi costituenti il secondo capitolo); si esplora la casa, l'appartamento di Alberto fratello di Micòl, e la biblioteca (terzo capitolo in sette paragrafi); penetriamo, finalmente!, insieme con l'eroe nella stanza, fino a quel momento vietatissima, di Micòl, un permesso di cui l'io narrante intende approfittare per assalire definitivamente la cittadella chiusa della fanciulla in fiore, ma invano. Egli non ne è all'altezza, ed i dieci paragrafi del capitolo quarto, la sezione più ampia del romanzo, sono lì a testimoniare lo scorno subito, con in aggiunta il dubbio, atrocemente conficcato nel cuore, che la 'puella' così scontrosa con lui giaccia viceversa benigna fra le braccia dell'ariano Malnate…. Ed ecco, proprio come in uno spettacolo tragico ateniese del quinto secolo avanti Cristo, l'Epilogo, un paio di pagine che tracciano il bilancio a tinte fosche non solo della storia (iniziale minuscola) narrata nel testo, ma anche e soprattutto della Storia (iniziale maiuscola) - vale a dire i campi di sterminio, pensati ed organizzati per distruggere comunità intere, per cancellarne definitivamente e per sempre le tracce. Contro tale progetto disumano si erge, oggi come nell'Atene, la parola del poeta, sola in grado di far ricordare, ed impedire che cada l'oblio sul nostro passato.
Allorché la professoressa Onofri, vicepresidente di Arch'è ed organizzatrice del presente evento, mi chiese di darle, a spron battuto come nel suo stile, un titolo da collocare nel comunicato stampa, risposi immediatamente ed automaticamente quasi: "Antigone rivisitata". Ritornandoci su a posteriori mi accorsi, con gioia interiore, che avevano congiurato insieme per produrre codesta formula due moti della reminiscenza. Il più lontano nel tempo appartiene alla figura di Rossana Rossanda, la cui prefazione all'edizione feltrinelliana della tragedia sofoclea ("Antigone ricorrente") appartiene a buon diritto al bagaglio del già insegnante di greco; il secondo, quasi quotidiano, si richiama ad una lirica di Giorgio Bassani intitolata, non a caso, "Ninfa rivisitata", che viene qui proposta, nello stile epigrafico della raccolta che la include [Bassani 2011, pp. 1437-8]:

Ninfa rivisitata

La rara pianta orientale d'un bello e ricco
rosso focato all'agguato subito dietro la svolta
d'un sentiero là a Ninfa pari in tutto a una belva
non meno elegante che sanguinaria
ne ha fatta della strada durante gli ultimi
quindici anni dal minimo
cespo in vaso
che era!

È venuta su sviluppando al massimo il vello paludandosene
come d'un mantello di gran classe
che lascia appena intravedere
sotto
le sdutte nere membra attorte i bui
lunghi muscoli pronti
al balzo

Saresti cresciuta anche tu così tale e quale
immobile in un canto di questo mio vecchio orto
italiano
senza mai stabilire rapporto alcuno col dialettale contesto
abnorme e stupenda
silente e
minacciosa
per l'esclusiva gioia paurosa ogni tanto del mio
sguardo
per la cauta carezza soltanto
della mia mano


Il Poeta scrive del proprio 'nostos', quel viaggio di ritorno che vanta, come capostipite archetipico, il poema odissiaco. Ed infatti di Paradiso si tratta, di un mitico ed ancestrale Giardino, del quale nutriamo, noi umani, da sempre, inestinguibile nostalgia - come da etimologia dei due vocaboli greci che compongono la parola: il dolore ('algia') del ritorno ('nostos'). Ed il parco di Ninfa non è uno spazio verde qualsiasi, bensì uno dei luoghi reali, il privilegiato forse, che hanno ispirato la topografia del "Giardino dei Finzi-Contini". Quanto all'attenzione quasi maniacale per le piante (e quanta "Italia Nostra" si accampa su questo versante!), leggiamo Bassani medesimo:

"Dovevo dare conto di questa realtà fino in fondo: bisognava che il giardino in qualche modo esistesse, fosse vivo. Non bastava dire 'piante'. Dovevo occuparmene, di quelle piante, distinguendo con cura l'una dall'altra, perché questa era la mania, in sostanza, dei Finzi-Contini medesimi. Che cosa esprimeva, questa loro mania, se non il bisogno che avevano di essere in qualche modo consolati del loro non esistere? Per questo motivo i Finzi-Contini, pur così diversi da me, sono una forma del mio sentimento. Per questo motivo ho cercato di rappresentarli per quelli che sono, per ciò che dicono attraverso il loro essere, il loro esistere". [Bassani 2001, pp. 1347-8].

Ecco dunque motivate le prime due lasse del testo, dedicate esclusivamente alla descrizione minuta ("con cura") della "rara pianta orientale" - e non sfugga la presentazione grafica della prima sequenza, riproduzione perfetta di un vero e proprio vaso (leggi la parola) che si sviluppa potentemente verso l'alto, né il ricercato stilema aggettivale - presente in Guido Guinizzelli, agli albori della lirica volgare, e, viciniore, nel lessico pascoliano - "sdutte" (che vale "sottili, magre, esili, che non crescono bene") assegnato alle "membra", essendo la pianta in questione del tutto antropizzata. Il terzo ed ultimo movimento chiama a paragone un 'tu' femminile adottando il modo verbale condizionale ("Saresti cresciuta"), a testimonianza dell'esito non positivo dell'attesa nutrita: una donna-pianta che avrebbe dovuto accamparsi nel cuore, "vecchio orto / italiano", del Poeta, a guisa di 'monstrum' classico ("abnorme e stupenda / silente e minacciosa") che insieme attira e respinge non solo la mano ("cauta carezza") ma anche lo sguardo, motore di una "esclusiva gioia paurosa". Ed al giardino di Ninfa, in comune di Sermoneta provincia di Latina, luoghi da sempre legati alla nobile famiglia Caetani - e la principessa Marguerite Caetani di Bassiano ha parte non indifferente nella biografia letteraria di Bassani - è dedicato un ulteriore epigramma, il seguente [Bassani 2001, p. 1397]:

Per il Parco di Ninfa

Perché dall'avvenire cui si assume esitante
ancora la mia vita verrà un riso? Oh distante

isola del passato, là, che chiama, che invita!
Quel suo lume non è il tuo, morte, intriso e tremante?

"Distante isola del passato" è definito il luogo edenico, paradisiaco: e allora ecco le ultime parole di Micòl conservate dalla memoria del Poeta: "il caro. Il dolce, il pio passato" [Bassani 2001, p. 578].

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Revisione scritta della conversazione svolta a Ferrara presso la Porta degli Angeli alle ore 21.00 di venerdì 21 settembre 2012, in margine alla mostra "Skenè" ivi ospitata (per il cui catalogo vedi Silvia Infranco, Skenè, scena/dramma/racconto, a cura di Enrica Manes, Ferrara, Porta degli Angeli, 2-24 settembre 2012). La sigla Bassani 2001 corrisponde a Giorgio Bassani, Opere, a cura e con un saggio di R. Cotroneo, Mondadori, Milano, 2001; la prefazione di Rossana Rossanda si trova in Sofocle, Antigone, Feltrinelli, Milano, 1987 (seconda edizione 1988).