Il discorso del sindaco Gaetano Sateriale alle celebrazioni per la Liberazione
Un 25 aprile di pace e di festa
26-04-2007 / Giorno per giorno
Il Presidente Napolitano non si stanca di richiamare le Istituzioni e le forze politiche del paese perché ritrovino, pur nella dialettica fra le diverse posizioni, che è sale e fondamento della democrazia, quella condivisione dei principi fondanti dello Stato e delle regole della convivenza che sola può riportare il nostro Paese a occupare il ruolo e il prestigio internazionali che merita. La collaborazione fra le diverse forze all'interno e tra gli schieramenti è condizione per produrre il consenso necessario a fare le riforme di cui il paese ha bisogno.
Confronto e condivisione delle necessità del Paese per costruire un futuro più solido nella democrazia, nell'economia, nei diritti, nelle leggi, nella solidarietà e nell'assistenza a che ne ha bisogno.
La dialettica politica che è linfa vitale non può e non deve bloccare le grandi scelte.
Quale migliore richiamo nel giorno in cui il popolo italiano celebra la Liberazione del paese dal nazifascismo e la libertà che i nostri combattenti di allora conquistarono per tutti noi!
È inquietante che qualcuno, a più di 60 anni di distanza da quei fatti, ancora si chieda se il 25 aprile è una festa di pochi o una festa di tutti. Vuol dire che ha frequentato poco le piazze in queste giornate chi ha dubbi simili. E noi li invitiamo a venire con noi ad ascoltare e a vedere. Perché da sempre questa festa ha assunto non il significato di una celebrazione dei vincitori contro i vinti, ma il ricordo grato verso quegli uomini che riportarono il paese all'unità e alla democrazia, con il sacrificio della loro vita, per un futuro migliore per tutti gli italiani, non solo per loro stessi o per la loro parte.
Non c'è dubbio su questo carattere di festa nazionale (al di là di ogni pregiudizio e di ogni tardivo riconoscimento): il 25 aprile è stato da sempre una festa di popolo, di tutto il popolo, perché proprio la resistenza e la guerra di liberazione furono possibili grazie alla ritrovata unità tra le forze politiche antifasciste, le organizzazioni partigiane e quella parte dell'esercito italiano che dopo l'8 settembre si rifiutò di consegnare le armi ai nazisti (come accadde a Cefalonia, uno dei primi atti della resistenza) e tornò a combattere accanto alla propria gente e agli alleati angloamericani.
Non c'era unità di vedute fra i tanti protagonisti della guerra di liberazione, non vi era la stessa idea del futuro del paese fra comunisti, cattolici e liberali, ma vi era un legame molto forte che li teneva uniti e questa unità rese possibile la vittoria: riconsegnare agli italiani la libertà e le istituzioni democratiche in modo che il futuro della nazione lo potessero decidere, liberamente, il popolo e il suo parlamento.
Da quella prima stagione di unità, così sofferta e così ricca, scaturì la stagione costituente degli anni successivi e il fatto che, con il libero voto il fronte antifascista nato nella resistenza potesse tornare a dividersi, nel confronto politico, senza che venissero mai meno quei presupposti di libertà e democrazia che tutti avevano voluto.
Quella stagione fu premessa anche in Europa per la costituzione di una Unità tra i suoi stati che non aveva precedenti storici, voluta sulla base di un'idea semplice e fortissima: che la tragedia della seconda guerra mondiale in Europa (i totalitarismi, le discriminazione di razza, gli stermini) non si dovessero più ripetere.
Davvero la primavera del '45 fu premessa del futuro che conosciamo e che non vogliamo perdere.
Non fu un percorso lineare o scontato, fino agli anni più recenti, anche in Italia, c'è stato che ha tentato di rimetterlo in discussione quel sistema di regole, "attaccando al cuore" lo Stato e le sue istituzioni. Ma sempre, nel corso di questi sessant'anni, l'unità del paese ha saputo sventare gli attacchi che giungevano da opposte fazioni alla conquistata democrazia.
Dobbiamo essere molto grati agli uomini di allora, ai protagonisti della resistenza e della guerra di liberazione perché con il loro sacrificio ci diedero una lezione (valida ancora oggi): e cioè che la democrazia non è un regalo, (non la si può importare), nemmeno da parte di un grande alleato, se non ci sono le forze interne al paese a pretenderla, a costruirla e a difenderla.
Questa è la lezione di quegli uomini. Questo il significato della scelta dell'insurrezione nelle città e nelle fabbriche dell'Italia del Nord che anticipò di qualche giorno la fine della guerra. Non solo un atto di orgoglio
e di ritrovata dignità di un popolo. Ma il segno che gli Italiani, dopo vent'anni di dittatura fascista, dopo le odiose leggi razziali, seppur martoriati da una guerra che divideva il paese e contrapponeva i suoi abitanti, sapevano cosa volevano: la pace, la libertà, la democrazia. E lo volevano costruire con le loro mani. Non farselo insegnare da nessuno.
Erano uomini di tutti i tipi i protagonisti di quegli anni e di quelle battaglie cruciali: certo i vecchi intellettuali antifascisti, quelli che erano stati al confino o in carcere, i politici liberali, i capi dei partiti clandestini nati in quegli anni difficili, i militari, ma quella battaglia non sarebbe stata vinta se non ci fosse stato un enorme consenso e una grande partecipazione popolare. Di migliaia di persone normali (uomini e donne) che si sono sacrificate, sono andate in montagna, sono entrate in clandestinità, hanno organizzato un esercito irregolare contro cui si è scatenata la ferocia nazifascista senza riuscire a piegarlo.
Ciò è accaduto a Ferrara, come nel resto dell'Emilia Romagna, come nelle altre regioni del Centro Nord. Noi oggi celebriamo i martiri di quella stagione, ne ricordiamo i nomi. Ma dovremmo rivolgere un pensiero anche a quelle migliaia di persone che hanno dato il loro contributo (grande o piccolo) al successo di quella battaglia. Erano ragazze e ragazzi che, a volte senza rendersene nemmeno conto, come se fosse la cosa più normale, hanno corso rischi enormi e messo la loro giovane vita a disposizione di una causa grande e collettiva perché la sentivano propria e, proprio per questo, di tutti.
Ai martiri di quella stagione e ai testimoni che ancora sono fra noi è dedicata la festa di oggi. Una festa, perché ormai gli anni hanno lenito gli orrori e i dolori di quei mesi lontani. Una festa di tutti, perché l'Italia moderna, quella che conosciamo e che amiamo, nasce in quei giorni: il 25 aprile del 45. Per tutti: anche per chi non ha combattuto quelle battaglie e per chi le ha combattute dalla parte sbagliata.
Davvero quella lezione è ancora attuale, non per il modo cruento con cui si è svolta, per nostra fortuna, ma per la lungimiranza e la generosità di chi vi ha partecipato.
È vero, è strano che un paese abbia più di una festa nazionale. Ma oggi non ricordiamo solo la fine della guerra bensì l'inizio della pace e la rinascita della nazione.
Viva il 25 aprile!
Viva l'Italia e l'Europa Unita.