L'intervento del sindaco alla festa del 4 novembre
Sateriale: solo uno sviluppo più equo garantisce la pace
04-11-2008 / Giorno per giorno

LA SINTESI
"La data del 4 novembre - ha affermato il sindaco Gaetano Sateriale, parlando in piazza Trento e Trieste - celebra la fine della prima guerra mondiale e con essa il pieno raggiungimento dell'Unità nazionale. Il 4 novembre è il giorno delle Forze Armate che un ruolo decisivo ebbero nella costruzione dell'Italia unita. La ricorrenza è anche dedicata al ricordo dei caduti di tutte le guerre. Oggi l'unità nazionale non ha più bisogno, per nostra fortuna, di confini da presidiare militarmente. Eppure permangono situazioni di conflitto dalle potenzialità devastanti". Per risolverle serve "uno sviluppo economico e sociale più equo, una crescita economica meno foriera di ingiustizie, un capitalismo meno coloniale di quanto non sia stato finora. Molto resta da fare, a partire dalla creazione di nuove norme che regolino la finanza, l'economia e i diritti per tutti (non solo per l'occidente).
In questo contesto è importante che l'Europa faccia sentire la sua voce. Non c'è più un mondo bipolare e non ne abbiamo nostalgia. Ma non ci può essere nemmeno un mondo governato da una sola superpotenza che decide quali popoli possono stare nell'elenco degli amici e quali nazioni vengono iscritte nell'elenco dei nemici da combattere e da sconfiggere".
Testo dell'intervento svolto dal sindaco Gaetano Sateriale in piazza Trento e Trieste durante le celebrazioni per la festa del 4 novembre
Autorità, studenti, cittadini,
la data del 4 novembre celebra la fine della prima guerra mondiale e con essa il pieno raggiungimento dell'Unità nazionale. Il 4 novembre è il giorno delle Forze Armate che un ruolo decisivo ebbero nella costruzione dell'Italia unita. La ricorrenza odierna è anche dedicata al ricordo dei caduti del primo conflitto mondiale e ai caduti di tutte le guerre.
A novant'anni di distanza da quei tragici eventi, l'unità nazionale non ha più bisogno, per nostra fortuna, di confini da presidiare militarmente; le Forze Armate italiane (in collaborazione con quelle degli altri paesi europei) sono diventate strumento di prevenzione dei conflitti in molte aree del mondo; il ricordo di tutti i caduti non è più contrapposizione di un'identità nazionale ad altre (di una bandiera ad un'altra) ma monito perché simili tragedie come quelle che hanno insanguinato l'Europa e il mondo nel XX secolo non si verifichino più.
Eppure, come abbiamo più volte ricordato in questi anni, se l'Europa ha saputo andare oltre le secolari identità dei suoi singoli Stati, fondare istituzioni comuni, dar vita a leggi generali, coniare una sola nuova moneta, non si può dire che attorno ad essa (ai suoi stessi confini) non permangano situazioni di conflitto dalle potenzialità devastanti. Al contrario di 90 anni fa, l'Europa di oggi non è più teatro di quei conflitti ma agente attivo per la loro soluzione. Tanta strada si è fatta dalla fine delle due guerre mondiali. Tuttavia ancora molto resta da fare, in Europa e nel mondo.
Non passa giorno che notizie di guerre (apparentemente lontane) sofferenze e fame per le popolazioni civili non vengano a turbare le nostre coscienze. E non illudiamoci, la crisi finanziaria ed economica globale sarà fattore di moltiplicazione delle diseguaglianze e dei conflitti non di una loro attenuazione. Molto resta da fare per noi europei allora e per l'occidente. Molto e in fretta.
A partire da uno sviluppo economico e sociale meno diseguali, da una crescita economica meno foriera di ingiustizie, da un capitalismo meno coloniale di quanto non sia stato finora, (un colonialismo, meno visibile ma persino più ingiusto di quello dell'800, perché attuato dalle grandi multinazionali industriali e finanziarie se non più dai singoli stati). Molto resta da fare, a partire dalla creazione di nuove norme che regolino la finanza, l'economia e i diritti per tutti (non solo per l'occidente).
Ma l'Europa deve anche darsi una politica estera solida ed autonoma, se vuole agire sullo scenario mondiale da ammortizzatore delle conflittualità e da agente di pace. In questo, abbiamo una cultura storica più solida di altre grandi potenze, ma abbiamo ancora strumenti molto più fragili per la politica di oggi.
Una politica estera e una politica di difesa europea sono i traguardi urgenti da affiancare alle leve economiche e monetarie per diffondere (a partire dal bacino del Mediterraneo) la nostra cultura di pace, di convivenza e di cooperazione.
Oggi, 4 novembre 2008, potrebbe essere una data di rilevanza storica per tutto il mondo. È ormai certo infatti, più di una speranza, che, qualsiasi sia l'esito delle elezioni americane, noi vedremo il tramonto della teoria della guerra preventiva e dell'azione unilaterale degli Stati Uniti sugli scenari mondiali. Gli Usa dovranno tornare e torneranno alla ricerca di un sistema di alleanze e di multipolarità che consenta il dialogo e archivi l'uso aberrante della guerra come "fattore di democrazia".
A maggior ragione è importante che l'Europa faccia oggi sentire la sua voce. Non c'è più un mondo bipolare e non ne abbiamo nostalgia. Ma non ci può essere nemmeno un mondo governato da una sola superpotenza che decide (negli uffici dei consulenti e degli esperti) quali popoli possono stare nell'elenco degli amici e quali nazioni vengono iscritte nell'elenco dei nemici da combattere e da sconfiggere.
L'Europa ha con gli Usa un grosso debito di riconoscenza per quanto è accaduto nei due conflitti mondiali e per la vittoria contro il nazifascismo. Proprio per questo essere noi alleati degli Stati Uniti e dei paesi occidentali dovremmo ora essere tra i primi che promuovono una riflessione sul mondo multipolare e sulle regole nuove che esso richiede. Avremo negli Usa interlocutori più disponibili e attenti, tocca all'Europa assumere quel ruolo di riavvicinamento. Proprio per aver vissuto direttamente le tragedie del secolo scorso: quando le identità nazionali prevalsero su ogni visione globale del mondo, quando i pregiudizi razziali e religiosi determinarono lo sterminio di intere nazioni.
Ecco, io credo che queste riflessioni siano frutto della memoria di quanto è accaduto novant'anni fa e che queste riflessioni vadano portate e riportate alle generazioni di oggi.
Non festeggiamo il 4 novembre la vittoria contro un nemico (con cui oggi condividiamo appunto, moneta, istituzioni, cultura: l'orgoglio di appartenere a un continente di pace e convivenza), celebriamo la fine di un conflitto immane. Non celebriamo la potenza bellica delle nostre forze armate quanto la loro trasformazione in agenti di pace in scenari altrettanto pericolosi e difficili, dove la presenza dei soldati italiani riceve l'apprezzamento generale per la capacità di dialogo e di relazione con la gente.
Non ricordiamo oggi solo i caduti italiani del primo conflitto mondiale ma i caduti di tutte le guerre, perché non si debba più morire per difendere i propri confini e la propria patria. Perché non vi sia più nessuno che attenta alla loro esistenza. In tutte le parti del mondo: in quelle più fortunate come la nostra, in cui i confini nazionali sono liberamente attraversati dalle persone e dalle merci, così come quelle in cui sui confini si combatte ancora, e quelle in cui i confini condivisi sono ancora negati.
Ma, abbiamo detto che oggi è celebrazione anche di unità nazionale. Su questo punto un'ultima riflessione è necessaria.
Nessuno mette seriamente in discussione da noi l'unità nazionale. Ma non c'è dubbio che, se vogliamo una unità di sostanza, di condizioni di vita, di opportunità, ci sia ancora molto da lavorare sul piano economico e nella diffusione di quei servizi sociali che vivono ancora una realtà troppo differenziata nel nostro paese. È possibile che il federalismo di cui parliamo da anni possa convivere con una maggiore unità nazionale di condizioni di vita? È indispensabile, altrimenti non ci sarà nessun federalismo vero né sul piano istituzionale né su quello economico.
Da questa giornata che ricorda e celebra vicende lontane, si dispiegano quindi nuovi obiettivi per tutti. Un'agenda di cose da fare per consolidare i risultati di civiltà fin qui acquisiti. Il nostro paese e l'Europa debbono esserne consapevoli e muoversi con coraggio non a difendere, ma a promuovere una maggiore cooperazione mondiale.
Viva L'Unione Europea, viva l'Italia.