INTERNAZIONALE A FERRARA - Si è conclusa la tre giorni di Internazionale dedicata all'informazione. L'intervento del Sindaco
"Sono orgoglioso per la città. E' un'esperienza che ci fa crescere." Superate le 50mila presenze
03-10-2010 / Giorno per giorno
"Sono orgoglioso per quello che la città ha vissuto in questi tre giorni dedicati all'informazione. Siamo come la volpe ne "Il Piccolo Principe", è appena finita questa edizione di internazionale e siamo già in attesa della prossima". Così il sindaco Tiziano Tagliani ha salutato questa sera - in coda all'incontro finale con tre fuoriclasse internazionali del giornalismo d'inchiesta moderati dall'italiano Gian Antonio Stella - gli organizzatori e il pubblico del Festival di Internazionale dal palco del Teatro Comunale. Al suo fianco Giovanni De Mauro, visibilmente soddisfatto nonostante l'unico piccolo inghippo tecnico finale della 'diretta' in piazza Castello, che ha ricambiato 'l'arrivederci' ringraziando per l'ospitalità tutta la città e le Amministrazioni Comunale e Provinciale.
"Il Festival per la città è occasione di crescita in tutti i sensi - ha voluto aggiungere Tagliani - e penso che lo sia anche per il mondo del giornalismo. Abbiamo tutti bisogno di incontrare gente, di ascoltarla e di parlare, di scambiare informazioni e verità. La tavola ancora una volta è stata apparecchiata e la redazione di Internazionale ha elaborato il menù, lo ha cucinato e insieme lo abbiamo servito. Grazie a tutti"
I NUMERI DEL FESTIVAL, IL PRIMO BILANCIO
Anche quest'anno Internazionale a Ferrara, il festival di giornalismo pensato dal settimanale diretto da Giovanni De Mauro in collaborazione con il Comune di Ferrara, la Provincia, la Regione Emilia - Romagna, Arci Ferrara, Ferrara sotto le stelle e Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, si conferma un festival in crescita registrando il record di 51.000 presenze, l'11% in più rispetto all'anno scorso.
Un pubblico che confrontato con quello delle altre manifestazioni culturali è fra i più giovani d'Italia con un'età media che non supera i 35 anni. Con il 50% dei visitatori che ne ha meno di 30.
Internazionale a Ferrara ha presentato anche quest'anno un programma di grande qualità: più di 100 ospiti provenienti da 25 paesi, oltre 100 ore di programmazione per 52 incontri. Tre giorni di incontri, dibattiti e proiezioni completamente gratuiti che hanno portato nella città estense i grandi nomi del giornalismo e della cultura. (Fonte Ufficio Stampa Festival)
Inaugurazione Festival di Internazionale a Ferrara-cinema Apollo 1 ottobre 2010
Tiziano Tagliani: " Accolgo con piacere questo quarto appuntamento del Festival di Internazionale. L'iniziativa è cresciuta grazie alla collaborazione di differenti realtà e si è ormai instaurato un rapporto di fiducia tra la rivista e la città di Ferrara. Gli anziani parlano sempre dell'importanza di mettere giudizio, dell'importanza di acquisire elementi di osservazione critica.
Internazionale si riferisce proprio a questa capacità e con il suo operato contribuisce a creare nella comunità una capacità di giudizio oggettivo di cui abbiamo molto bisogno."
Cerimonia Premio Anna Politkovskaja-cinema Apollo 1 ottobre 2010-10-05
Massimo Maisto-" Internazionale a Ferrara ha deciso di assegnare questo premio a Yaqub Hibraimi, simbolo della fermezza dell'informazione, la testimonianza di un informazione libera in Afghanistan."
Said Kheshraw Ibrahimi-" Aiuterò mio fratello a seguitare nella sua battaglia, nonostante la repressione lo spingerò a lavorare ancora più duramente.
Yaqub Hibraimi (in collegamento via skipe)-" In Afghanistan ci sono molti problemi, se sei un giornalista, non puoi fare il giornalista, devi difendere te stesso. Nel mio paese si scontrano diverse fazioni, tutte ugualmente contrarie alla libertà di stampa, ciascuno di noi ha due compiti: trovare le informazioni e cercare di proteggere la propria vita. L'Afghanistan è dilaniato dai signori della guerra, molte delle più alte cariche istituzionali si sono macchiate di crimini e di abusi, questo spiega la pressione a cui siamo sottoposti. Il giornalismo si muove dentro un'area tracciata dalle autorità, coloro i quali dovessero oltrepassarlo sarebbero oggetto di minacce di morte, di esilio, questo è il clima in cui siamo costretti a lavorare."
I voli della morte
la ricerca della verità sui desaparecidos
Cinema Apollo - 1 ottobre 2010
Il giornalismo che fa da supplenza alla giustizia
La dittatura militare in Argentina ha ucciso 30.000 persone, 4.400 di queste sono state gettate in mezzo all'Oceano Atlantico. Grazie alla diffusione clandestina dei libri di Horacio Verbitsky siamo oggi a conoscenza di questi dati. Nel 1993 il presidente in carica Carlos Menem, aveva richiesto in via ufficiale la promozione di due ufficiali torturatori. Grazie alle inchieste di Verbitsky questa ulteriore beffa è stata fermata.L'incontro del giornalista con Adolfo Scilingo è avvenuto casualmente "Credo che in lui fosse forte l'esigenza di raccontare. Durante i primi incontri difendeva quasi sindacalmente i militari perché se tutti avevano lavorato secondo un piano generale, non era concepibile come alcuni potessero essere promossi e altri no." Con la Ley de Obediencia in vigore a partire dal 1987 infatti, si stabiliva l'impunità assoluta per tutti i sottoufficiali carnefici della Guerra Sporca, perché avevano semplicemente eseguito gli ordini dei loro superiori. " Un giorno Scilingo mi confessa di aver gettato in mare trenta persone. Sono un giornalista ma c'erano in gioco cose più importanti, la storia del mio paese, la mia generazione. Inizia da quel momento un dialogo diverso." In Argentina sino a quel momento mancava un nesso tra i cadaveri che venivano trovati sulle spiagge e le testimonianze degli ex desaparecidos e dei loro familiari. Nessuno voleva guardare, approfondire, ricercare la verità. Erano gli anni dei soldi facili, dell'apparente progresso economico, tutto questo creava un'euforia che aiutava a distogliere l'attenzione dalle piaghe e dalle sofferenze del passato. " Ero alla Scuola di Meccanica dell'Armata, sapevamo cosa ci avrebbero fatto, quale sarebbe stata la nostra fine. Noi argentini non ci rendiamo conto di avere le possibilità per ricostruire la nostra storia. Ci sono repressori che camminano per strada e noi non abbiamo mai visto le loro facce, sentito la loro voce." Queste sono state le parole di Mirian Lewin, ex desaparecida attualmente giornalista impegnata insieme a Claudio Ceraudo nella ricerca dei velivoli utilizzati per l'eliminazione dei prigionieri. Partendo dalle analisi dei piani di volo sono riusciti a risalire ai nomi degli otto piloti che li guidavano,personalità che sono tutt'ora nelle cabine di pilotaggio delle tratte transoceaniche.
Dialogo con Miriam Lewin
- "Come fa a stare di fronte ad una platea a parlare di ciò che di più al mondo le ha causato sofferenza e mantenere un tono così pacato, a non dimostrare sofferenza."
- " Ma io soffro. Soffro e non ho mai smesso di chiedermi perché sono sopravvissuta ad un fidanzato, ai miei amici. Il mio essere giornalista è stato il cercare giustizia, il dare un senso alla memoria, ha dato continuità alla loro vita attraverso le mie parole."
Domandarsi come queste persone abbiano fatto a reprimere un incubo è probabilmente più facile da esterni. Forse chi ha vissuto una tragedia simile ha voluto dimenticare, lasciar andare. Seppellire un passato così doloroso non è un motivo di biasimo. Ma ci sono anche persone che non dimenticano, che non lasciano andare. Credo che questi siano dolori che cementano la vita di chi li vive. Sono eroi coloro che ne fanno un riscatto. Non c'è una storia di ricerca giornalistica, è una storia umana.
Robert Fisk - Cronache mediorientali
Il racconto di un inviato di guerra
Teatro Comunale - 1 ottobre 2010
Trascinante, sarcastico, pungente, efficace: Robert Fisk, giornalista inviato della testata britannica The Indipendent, è stato vero protagonista della prima notte del Festival di Internazionale a Ferrara edizione 2010, in un teatro ordinatamente gremito di pubblico - l'esordio dei tagliandi è stato positivo e gradito - in particolare giovani, molto attenti alla breve ma intensa lezione sul "linguaggio della guerra, o meglio, la desemantizzazione del linguaggio della guerra" ha precisato Fisk. E di parole che vengono utilizzate impropriamente da chi governa, dai politici e anche dai giornalisti "che conoscono poco la storia" ce ne sono molte, parola di Fisk. "Come si fa a parlare di 'rispetto' dei morti e di 'pornografia' delle immagini dei corpi martoriati, decidendo così di non mettere in onda le immagini delle carneficine causate dalla guerra. E' rispetto forse uccidere uomini, donne, bambini? Quei morti ci sono e vanno raccontati. Io cerco di farlo sempre".
"Gran parte di giornali e tv del mondo occidentale raccontano dei conflitti sono una piccola parte della verità" insiste Fisk e "si usano sistematicamente parole più morbide, per non creare problemi ai potenti ed evitare lamentele delle ambasciate"
Terrore e terrorismo: "sono termini che i governanti occidentali usano continuamente e ossessivamente per tenere le persone concentrate sul 'pericolo', ma distratte e quindi catturate su questioni lontane dai fatti reali" ha avuto modo di riscontrare viaggiando in diverse città nord americane e europee.
"Potere e media utilizzano il linguaggio per ottenere effetti specifici nell'opinione pubblica e noi giornalisti siamo diventati schiavi del linguaggio utilizzato dal potere. Come possiamo parlare di 'processo di pace' in Palestina quando è tutto fermo e ogni azione ormai non funziona e i piani sono da buttare?"
Ma è la storia che più conta per il reporter di guerra classe 1946: "spesso chi governa in occidente tenta improbabili analisi della situazione odierna facendo riferimenti alla seconda guerra mondiale, di cui però misconoscono fatti e aspetti importanti". Nella storia passata Fisk elenca tappe storiche dei primi anni del '900 in Medio Oriente che in questo avvio di secondo millennio sono purtroppo molto familiari. "Quando trascorro periodi in zone di guerra spesso mi chiedono perchè gli occidentali sono così presenti in molte zone del medio oriente: è una nuova cortina di ferro che si affaccia sull'Asia". "In realtà non è vero che siamo di fronte a uno scontro di civiltà e se gli Stati Uniti vanno in Iraq non c'è di mezzo solo il petrolio... certamente però non c'è alcun interesse per gli iracheni, per la loro democrazia. Il mondo musulmano è molto arrabbiato per questa invasione e noi dobbiamo andarcene, non abbiamo alcuni diritto di stare lì, non e la nostra terra!"
Fisk elenca e va a decifrare parole come "picco" invece di "crescita" di violenza nei paesi in guerra, o di "staccionata" invece di "muro" fra israeliani e libanesi "peggio di quello di Berlino".
"I giornali possono raccontare, se vogliono, storie vere - insiste Fisk - quelle dei protagonisti, le storie delle vittime e dei superstiti. Quali differenze ci sono fra i terroristi e i militari per una persona che ha perso un proprio familiare?"
Il primo ministro Churchill, più volte citato dal reporter, ha "in modo agghiacciante" tracciato il futuro di due nazioni quando ha descritto lo stato ebraico ricco e progressista e il popolo del Libano come "arabi bellicosi", consigliando agli israeliani di armarsi fino ai denti per proteggersi.
"La guerra - ha concluso il suo intervento prima di lasciare spazio alle domande del pubblico - rappresenta il fallimento dello spirito umano. Nessun governante ha fatto esperienza diretta della guerra. Ma allora perchè siamo andati in Iraq?"
"Mi raccomando: spegnete i video e leggete di più. E' importante!" Il pubblico del festival ha applaudito e ringraziato.
Malnutrizione.Quando il cibo non basta
Teatro Comunale - 2 ottobre 2010
La fame: un tema che non ci siamo lasciati alle spalle
I media si limitano a raccontare le grandi catastrofi ma non prestano attenzione al dramma della malnutrizione infantile. Una malattia che interessa 195 miliardi di bambini e conta 3-5 milioni di morti.
Stèphane Doyon -" Esiste un rapporto tra l'altezza e il peso che ci fa capire quando i bambini sono indietro da un punto di vista antropomorfo." La crescita potenziale del corpo rimane inespressa a causa di un'alimentazione povera di elementi essenziali quali proteine, vitamine e sali minerali che abbassa le difese del sistema immunitario e può, nei casi cronici, comportare gravi danni celebrali. " In passato, per trattare le forme acute di malnutrizione era necessario il ricovero ospedaliero e quando si aveva una diffusione endemica i posti letto si dimostravano insufficienti. Oggi però, grazie ai progressi della scienza, è possibile predisporre di un preparato che può essere somministrato anche a casa."
Per combattere la malnutrizione è necessario migliorare le condizioni igieniche, sviluppare un piano di immunizzazione e accrescere il livello di istruzione. I paesi che sono riusciti ad eliminare questo problema, ne hanno fatto una priorità politica e hanno agito su questi punti.
Le difficoltà di accesso al cibo non vengono percepite nella loro gravità. Si dice che l'india dominerà il ventunesimo secolo ma la malnutrizione in quel territorio interessa il 48% dei bambini. David Rieff -" Se l'India dominerà il ventunesimo secolo lo farà con la metà dei suoi bambini malnutriti. Il paradosso è che sappiamo molto riguardo la gestione di questa malattia ma non è un'emergenza eclatante da un punto di vista televisivo. E' necessaria un'intensa mobilitazione sociale, è necessario sensibilizzare le popolazioni. Piaghe quali la malnutrizione investono il Welfare dei paesi ricchi che si rapportano al problema in una maniera profondamente sbagliata. Scaricano aiuti umanitari come se si trattasse di merci."
Parole meticce
L'isola raccontata dai suoi scrittori
Cinema Apollo - 2 ottobre 2010
Haiti: le luci si sono spente
Il terremoto del 12 gennaio ha costretto il mondo ad accorgersi di Haiti. Dopo non è successo niente. I media di tutto il mondo hanno semplicemente puntato i riflettori su una faccenda di portata mondiale, l'hanno trattata come l'ennesima disgrazia da mettere in prima pagina e poi hanno abbandonato la popolazione che l'ha subita al suo silenzio, alla sua disperazione.
Louis Philippe Dalembert - '' Nella nostra sfortuna, siamo stati fortunati. Non siamo mai stati abituati a contare sui politici e quando è venuto il terremoto, la gente è scesa in strada ad aiutare come poteva. Il popolo ha preso in mano se stesso." Ci sono persone cui è stato insegnato a guardare gli altri e a non essere guardati. Questo è il caso di Haiti. Un'isola che ancora prima delle calamità naturali viene martoriata dalla povertà. La povertà haitiana è fatto compiuto sin dal 1804 anno in cui dovette pagare il prezzo della propria indipendenza. Un debito questo che si è trascinato fino agli anni '50.
Kettly Mars -"Faccio la scrittrice da vent'anni ma è solo dal 12 gennaio che capisco il peso delle parole. Non fare letteratura avrebbe fatto si che la disgrazia mi colpisse due volte. Haiti non è la disgrazia di una periferia, è la disgrazia del mondo intero, la dimostrazione che si sta completamente sbagliando direzione." Le immagini lanciate in una specie di voyeurismo internazionale, mostrano saccheggi ed azioni di sciacallaggio. In realtà queste sono iniziate a distanza di due o tre giorni dal terremoto, giorni in cui la gente è rimasta senza mangiare ne bere in attesa di chissà quale cosa. Non può esistere un paese con duecento morti in cui la gente non sia per le strade ad accanirsi, la stampa internazionale ha i suoi ritmi, i suoi meccanismi. Ad Haiti non è stato così ma ci si è avvalsi di artifizi tecnologici per creare un'apparente movimento di massa.
" Quando si verificano tragedie simili la popolazione volge lo sguardo alle autorità. Questi sguardi ad Haiti non sono stati ricambiati. Molti haitiani pensano che il terremoto sia stata la cosa peggiore che ci potesse capitare. Io rifiuto questa accezione. L'inesistenza del governo ha creato un senso di solidarietà popolare."
Il terremoto ha messo in luce ciò che si cercava di nascondere, le bidonville, la fame, la miseria, l'oscenità della povertà. Ora continuiamo pure a nascondere tutto sotto il tappeto.
La pace impossibile - Amira Hass
intervistata da Jacopo Zanchini
Piazza Municipio - 2 ottobre 2010 ore 19
Ancora una piazza colma di persone per un altro fra gli incontri più attesi del programma del Festival di internazionale a Ferrara, quello con la giornalista e scrittrice israeliana Amira Hass. Appena il tempo di inquadrarla brevemente come osservatrice 'dall'interno' di eventi e situazioni relative alla questione israelo-palestinese, Amira mette subito in chiaro che "Quando sentiamo parlare di accordi di pace è bene non fidarsi e occorre andare sul posto per verificare cosa stia realmente accadendo. Quando si usano 'belle parole' per raccontare un nuovo tentativo dobbiamo capire perchè e tenere bene in considerazione un contesto e una storia che vede crescere nella pratica di tutti i giorni difficoltà fra i rapporti fra i due popoli". Riferendosi agli ultimi tentativi negoziali: "Sono convinta che Obama stia prendendo in giro se stesso e il mondo quando ritiene di poter risolvere questa contrapposizione".
Zanchini l'incalza per sapere se c'è una soluzione del conflitto all'orizzonte: "I responsabili politici palestinesi cercano di riaprire il dialogo con gli israeliani ma sono consapevoli che oggi la società israeliana non è ancora pronta, non è ancora matura, per accettare l'unica soluzione possibile per risolvere il conflitto, cioè abbandonare i territori occupati e ritornare nei precedenti confini, prima della guerra dei 6 giorni nel 1967".
Sull'aspetto dei territori occupati e dei coloni la Hass precisa che "il fenomeno è sfuggito di mano ai leader palestinesi e già negli anni '90 Arafat era stato consigliato di non accettare di riavviare negoziati senza uno stop all'attività dei coloni nei territori occupati. I nuovi insediamenti dei coloni, talvolta anche non autorizzati dagli stessi israeliani, hanno significato avere strade non più praticabili per i palestinesi, campagne e riserve naturali oggi off-limits. Oggi i palestinesi si trovano in uno stato completamente militarizzato e non possono più muoversi liberamente a Ramallah come in Cisgiordania".
Il racconto della situazione che quotidianamente i palestinesi vivono chiusi nei loro territori si fa più approfondito, dettagliato, ma la 'causa' è sempre quella: "tutto è costruito per soddisfare le esigenze, e lo sviluppo degli israeliani.
Ma Amira Hass come ha vissuto nei territori palestinesi e come vive nella sua città, nei suoi luoghi di origine? Con disagio, rabbia, consapevolezza che per potersi muovere da Gaza occorre inventarsi delle ragioni, falsificando cartelle mediche. "Devi essere moribondo o già morto"...
Comprensibile il fatto che gli israeliani non si occupino della questione palestinese (secondo un recente sondaggio solo l'8 % della popolazione sembra essere interessato alla pace con i palestinesi).
"Il muro non è la causa di separazione fra i due popoli. E' la politica israeliana che ha creato questa frattura. Dopo la guerra dei 6 giorni negli Anni '70 c'è stato un periodo di convivenza positiva che ha creato tantissime speranze oltre che un nuovo conflitto. Prima della 'separazione' c'era un clima molto bello, tanti palestinesi lo sanno e me lo dimostrano in molte occasioni. 'Perchè ci hanno fatto questo', dicono i vecchi agricoltori palestinesi, 'questi ebrei non sono più quelli di una volta'.
Israele non può pensare di costruire un paese popolato solo da israeliani. I popoli sono due e questo è una realtà anche se oggi c'è un muro che confina i palestinesi pochi metri da loro".
Occorre pensare a "Due popoli un futuro" insiste Amira, e dopo quasi due ore serrate fra storie recenti e passate di persone e popoli che oggi si contendono spazi vitali e diritti, Jacopo Zanchini congeda il pubblico e questa 'anomala' testimone, protagonista di una intensa serata di "epica giornalistica".
Cartelli e cartelli
La mafia e il suo contrario tra Italia e America Latina
Cortile del Castello Estense - 3 ottobre 2010
" Non lasciare immondizia né cadaveri "
Questa la frase che ha scritto un abitante di Ciudad Juarez dettato dalla disperazione. La cittadina infatti è il centro nevralgico della lotta armata tra i cartelli della droga messicani. Schiacciata tra il Messico e gli Stati Uniti viene anche chiamata Laboratorio, ma è soltanto l'obitorio, il deposito dei morti ammazzati.
Cynthia Rodriguez - " C'è il vizio di fare paragoni tra il numero dei morti per l'una o l'altra guerra. In Messico fino ad oggi le vittime del narcotraffico sono 28.000 questo è un dramma nazionale imparagonabile." Dall'insediamento del nuovo presidente l'ondata di violenza in Messico ha raggiunto livelli catastrofici e l'invio dell'esercito non fa altro che aggravare la situazione. I giornalisti vengono definiti corrispondenti di guerra del loro stesso paese, sono intrappolati in una linea di fuoco senza alcuna conoscenza del narcotraffico, abbandonati a se stessi entrano nel mirino dei clan. " Esiste una zona del silenzio, nessuna investigazione fatta all'interno di questo territorio può essere resa pubblica, c'è un sistema di autocensura sia dalla parte dei cartelli che dalla parte del governo." Il peso dell'economia del narcotraffico è rilevante, si tratta del 4% del prodotto interno lordo, i più suscettibili al fascino dei soldi facili sono i giovani. In Messico sette milioni di ragazzi non hanno prospettive di vita, possibilità di occupazione. I pochi impieghi disponibili solitamente si trovano in zone controllate dal narcotraffico e per il principio per cui "la vita è breve tanto vale viverla bene" molti scelgono di affiliarsi. I narcos sono molto attenti a creare consenso sociale, nei quartieri poveri distribuiscono quasi paternalisticamente favori che lo stato non fornisce.
Marcela Turati - " Contare i morti è stata la prima attività di noi giornalisti, abbiamo dato un numero alle tragedie che avvenivano nel nostro paese. Il governo sostiene che il 90% di questi sono colpevoli e quindi non viene fatta nessun inchiesta a riguardo." Le dinamiche del narcotraffico sono simili a quelle delle mafie italiane, si instaurano legami tra le organizzazioni che con si solidificano con l'andare del tempo. In particolare la Ndrangheta agevola il transito della cocaina dai paesi esportatori all'Italia. Una differenza sostanziale forse sta nel fatto che nel nostro paese prima di ammazzare una persona si cerca di blandirla, di comperarla, in Messico invece c'è un uso quotidiano e indiscriminato della violenza. Non esiste una differenza tra uomini e donne, ricchi e poveri. La corruzione ha intaccato le istituzioni, la popolazione viene abbandonata a se stessa e i giornalisti al fronte anche.
" Abbiamo un grande bisogno di aiuto, non sappiamo dove e quando si fermerà questa ola di violenza. Quando la mattina apro il giornale penso di non poter trovare notizie peggiori di quelle del giorno prima, devo sempre ricredermi."