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CELEBRAZIONI 4 NOVEMBRE - L'intervento del sindaco in piazza Trento e Trieste

Ricordando il sacrificio dei caduti, un appello all'unità nazionale per superare le crisi odierne

04-11-2010 / Giorno per giorno

Questo il testo integrale del discorso pronunciato stamani, 4 novembre, dal sindaco Tiziano Tagliani in occasione delle celebrazioni per la festa dell'Unità nazionale, alla presenza delle autorità civili e militari e dei rappresentanti delle associazioni combattentistiche e patriottiche:

Grazie per la vostra presenza:
alle associazioni combattentistiche e d'arma,
a tutte le autorità presenti in rappresentanza delle Istituzioni pubbliche, civili e militari
soprattutto grazie agli studenti ed agli insegnanti che sono con noi anche oggi impegnati in questo non semplice compito di consegnare ai giovani il testimone della storia e soprattutto il testimone della memoria di questa giornata.

Al 4 novembre la Repubblica Italiana affida in primo luogo la ricorrenza dell'Unità nazionale oltre alla festa delle Forze armate. Ci vollero infatti 4 anni di guerra sanguinosa, 650 mila morti, mezzo milione di mutilati, una tragica e bruciante ritirata a Caporetto, anni di trincea sotto i mortai e poi la riscossa del Piave, per fare, del nostro, un popolo e dell'Italia una nazione unita.

Un paese, che fino al 1914 era profondamente diviso sull'ingresso in guerra, sulla scelta delle alleanze, frammentato nelle diverse provenienze regionali, lacerato socialmente, politicamente, per sentimento religioso, in quella guerra trovò le radici della unità nazionale che ancora oggi ci permettono di esprimere con pieno senso le parole: Italia ed italiani.

Cosa sia rimasto di quel sacrificio, spetta a noi oggi in questa piazza ricordarlo come ogni anno e riaffermarlo con chiarezza. Senza retorica, ma con la decisione di chi vuole ridare qui ed oggi un senso a tante storie individuali che hanno costituito e vogliamo costituiscano, ancora oggi, un pilastro del presente.

Lo dobbiamo a quelle migliaia e migliaia di giovani italiani che neppure cento anni fa, a vent'anni, hanno lasciato famiglie e lavoro e sono morti in trincea o negli assalti per difendere un'idea prima ancora che una terra.

A coloro che pongono in dubbio che l'Italia sia UNA e la ritengono piuttosto la somma di provenienze regionali magari mettendo sul piatto una contabilità arida a credito fra il dare e l'avere fiscale, spetta a noi oggi ricordare che sono ancora migliaia i ragazzi sardi, pugliesi, lucani, abruzzesi, siciliani, calabresi sepolti nel sacrario del Monte Grappa senza che nessuno abbia neppure il pudore di riconoscere quel debito mai saldato. Certo la carta costituzionale sancisce nel suo primo articolo l'unità, ma la radice è scritta in primo luogo in quella storia.

Il 4 novembre fu anche festa della vittoria, quella del bollettino "firmato Diaz" che leggiamo negli atri di tante scuole, quando ancora le scuole recavano simboli di unità e non di parte, ma quella vittoria divenne da subito festa per la fine di un incubo, come ogni volta che una guerra termina e ritorna la pace, si ristabilisce la legge della dignità, si vince la paura, si può guardare al futuro per sè e per le persone care, si torna ad amare la vita.
Anche questo è il 4 novembre, il ripudio della guerra, quella vera, quella che taglia le gambe, porta via la mano e che spezza la vita.
E ancora una volta, 50 anni dopo, anche questa consapevolezza trovò casa nella costituzione repubblicana. Oggi questo è il testimone che vi passiamo ragazzi, leggete le storie dei vincitori e magari anche quelle dei vinti, ma facciamo insieme tesoro della esperienza di quanti oggi osservano la città da quel sacrario davanti al quale senza troppa cura passiamo mille volte.

Il mondo è cambiato molto in questi decenni, i nemici di un tempo sono diventati concittadini d'Europa, si sono mescolate lingue, economie e culture, ma questo non significa che non vi siano più aggressioni ad una patria diversa forse, ma che pure è la nostra comunità di valori e di relazioni.

Il loro volto è molto più complesso da leggere ed interpretare, in primo luogo il terrorismo con le sue radici nella intolleranza religiosa, nella violenza, nella ingiustizia.
Le speculazioni finanziarie delle multinazionali capaci di mettere in ginocchio in una settimana l'economia di un intero paese.
La competizione industriale fra i paesi combattuta a spese della sicurezza sul lavoro e dei diritti.
Questi sono, tra gli altri, i conflitti nei quali siamo chiamati oggi a dare il meglio, questo è il fronte che ci tocca. Abbiamo bisogno di solide istituzioni democratiche, di un senso diffuso di fiducia nella capacità del nostro paese, del rispetto che viene dalla comune volontà di costruire il bene di tutti, anche se con idee e metodi differenti, purtroppo però non sempre la percezione è questa.
Sbaglierò, ma se debbo individuare una radice comune a questa incapacità di reazione, a questa Caporetto della credibilità e della fiducia, questa credo stia nell'ignoranza, nella mancanza di cultura, con la superficialità e l'arroganza che ne sono seguito inevitabile.

Vorrei allora ribadire in questa piazza, che non vi è migliore conclusione di questo 4 novembre 2010, mentre ci prepariamo ai 150 anni dell'Unità d'Italia, per il rispetto di coloro di cui oggi onoriamo la memoria e per preparare al meglio il mondo per coloro che devono ancora venire, che invitare tutti nelle scuole in primo luogo, ad aprire i libri, a sfogliare le pagine del web ad ascoltare i testimoni della storia in ogni modo serio.
Non verrà nessuno ad aiutarci nel superare le crisi morali ed economiche, spetta a noi tutti, modesti fanti d'Italia.

Viva l'Europa
Viva Ferrara