Sateriale: "Hera-Agea, per Ferrara la più importante operazione di politica industriale del decennio"
15-09-2004 / Giorno per giorno
L'ingresso di Agea in Hera, il più importante gruppo italiano di servizi pubblici locali, nato in Emilia Romagna per volontà di oltre 100 Comuni, non è un "affare", è un investimento per il futuro. Certo Agea è stata valutata più del suo valore nominale, certamente il Comune con la cifra che ha incassato dalla vendita del 49% delle azioni ha potuto estinguere antichi mutui e ridurre gli interessi passivi, ma non è stata questa la ragione principale che ci ha spinto a sostenere e concludere la trattativa con Hera. La scelta che sta alla base della fusione è una scelta di politica industriale che come tale andrebbe discussa e valutata: lasciando da parte (chi ne è capace) i pregiudizi e i retropensieri. Ferrara aveva nel '99 un'azienda speciale che si occupava di distribuzione del gas e di smaltimento dei rifiuti e un'altra che potabilizzava e distribuiva acqua. La provincia di Ferrara aveva (e in parte ha ancora) altre aziende più piccole che fanno la stessa cosa. Su questo punto eravamo (e siamo ancora) più indietro di molti territori emiliani e romagnoli in cui si sono da tempo accorpate le aziende. Ciò significa che le aziende del territorio ferrarese erano (e sono ancora) più piccole della media emiliana. Più piccole per dimensione e disponibilità di capitali per fare investimenti e innovare le proprie attività di servizio. Agea, in particolare, era sempre stata usata dal Comune di Ferrara (allora si poteva) come azienda "di famiglia", cui ricorrere in caso di bisogno. Il Comune di Ferrara incassava quasi tutti gli utili di Agea alla quale restavano ancor meno risorse proprie per gli investimenti e l'attività' quotidiana. Davanti a noi c'erano (fin dal '99) due strade precise da seguire, alternative fra loro. La prima era quella di rafforzare Agea come impresa: ingrandirla, favorire l'apporto di capitali nuovi, favorire le collaborazioni con altre aziende simili, rafforzarne i gruppi dirigenti. In una parola: rendere Agea un'azienda più sana e più autonoma e più "attenta" ai clienti. L'altra era quella di rafforzare il controllo comunale diretto su Agea e sui suoi risultati, a costo di non farla crescere. Radicarla solo nel mercato municipale, continuare a considerare gli utili dell'azienda un'entrata (seppure impropria) del bilancio del Comune, mantenere bassa l'autonomia dei gruppi dirigenti aziendali. Abbiamo (dal '99) scelto la prima strada. Perché ci mette al riparo dalla crescente concorrenza. Con un vincolo dichiarato esplicitamente fin dalle prime assemblee con i lavoratori e mai modificato da allora: quello del mantenimento del controllo pubblico (e locale) dell'azienda anche in una prospettiva di crescita e allargamento dentro e fuori la provincia. Insomma, la scelta era di aumentare la massa critica (come si dice) di un'azienda pubblica locale senza che smettesse di essere tale. Se avessimo scelto l'altra strada avremmo esposto (prima o poi) l'azienda alla competizione del mercato senza averla rafforzata prima. Che è uno dei problemi che oggi abbiamo nel settore dei trasporti: non il solo. La trasformazione di Agea e Acosea in società per azioni è stato il primo passo di questo percorso di autonomia. La scelta di manager che, pur venendo dall'esperienza pubblica, sapessero muoversi sui mercati nazionali e internazionali (in questi anni abbiamo costruito importanti partecipazioni in Italia e in Europa, sugli acquisti e sulle attività) la seconda scelta. Poi ci siamo mossi nel tentativo di integrare insieme le diverse aziende del territorio provinciale. Ci siamo riusciti solo in parte (inglobando la Cig del comprensorio di Copparo in Acosea) perchè non abbiamo trovato identità di vedute con altre realtà comunali (più preoccupate di mantenere il controllo sulla propria azienda che non a seguire una strategia di rafforzamento insieme a noi). Ma su questo punto continuiamo e continueremo a lavorare per superare i ritardi della nostra provincia rispetto alle altre realtà emiliane. Poi abbiamo integrato fra loro Agea ed Acosea, in modo da poter presentare ai futuri partner un'azienda multiservizi e non solo un'azienda del gas e dei rifiuti. Infine la decisione di cedere la quota di minoranza (attraverso una gara pubblica) del pacchetto azionario di Agea. Gara che si è conclusa, come è noto, con l'ingresso di Hera in Agea in cambio di una buona valutazione del valore dell'azienda e di un piano industriale che prevede consistenti investimenti sugli impianti e le attività presenti a Ferrara. Tutte queste scelte sono state operate alla luce del sole (non ci sarebbe neanche bisogno di dirlo): ci sono state discussioni pubbliche nei diversi Consigli comunali e ci sono stati confronti e accordi con le organizzazioni sindacali che hanno condiviso e condividono le nostre scelte. Che poi nel confronto sulla stampa si sia preferito (per anni) discutere solo della temuta "privatizzazione" di Agea, invece che ragionare di politica industriale, questo dipende dalle sensibilità e dalla vocazione di ciascuno dei protagonisti. Una parte del centro destra ha preferito caldeggiare una linea di "privatizzazione" che non c'era (e non c'è nei fatti), una parte della sinistra ha preferito osteggiare la "svendita" dell'azienda che non era (e non è) nelle nostre volontà. Mentre il problema vero era decidere le strategie aziendali in un mercato (quello dei servizi locali), sempre più esposto alla concorrenza (nazionale e internazionale) e dominato (in Italia) da aziende dieci e cento volte più piccole che non quelle francesi o tedesche. Perchè questo è il dovere di amministratori che rappresentano la proprietà di un'azienda pubblica, che appartiene ai cittadini: scegliere e decidere (per tempo) le strategie di valorizzazione e rafforzamento di quel capitale (finanziario, industriale, professionale, di mercato). E risponderne di fronte ai cittadini. Abbiamo sempre saputo (e dichiarato) che la vendita di una quota minoritaria delle azioni di Agea non era che il primo passo di un percorso futuro di "integrazione" della nostra azienda con uno dei grandi gruppi industriali che andavano sorgendo (di qua e di là dal Po) per aggregazione di tante aziende come la nostra: e per volontà di tanti Comuni. Ma abbiamo sempre voluto (credo, giustamente) tenere separate le cose. L'acquisto delle azioni Agea doveva rappresentare (mi si permetta l'analogia) il momento del "fidanzamento" fra soggetti diversi, senza che vi fosse necessariamente l'obbligo del "matrimonio" futuro. Ognuno si assumeva i suoi rischi: Hera, nel consegnare a Ferrara una "dote" molto cospicua, senza avere certezze sul futuro e noi che, senza aver trattato le condizioni per il futuro, ben sapevamo che un "fidanzamento con dote" non è come andare una sera a cena insieme e poi (come si dice dalle nostre parti) "ognuno balla con sua nonna". Abbiamo chiesto e ottenuto un anno di tempo per decidere. Subito dopo la gara e l'ingresso di Hera in Agea abbiamo aperto il confronto sulla forma della possibile integrazione futura (l'ingresso di Agea in Hera) e abbiamo dichiarato pubblicamente (si veda la stampa cittadina della fine del 2003 nonché il programma della coalizione e la Relazione di mandato) che avremmo acceduto alla proposta di fusione per incorporazione ad alcune condizioni. La prima è che Hera holding sia e resti un'azienda a controllo pubblico (cioè che la quota di capitale presente in borsa resti minoritaria), la seconda è che Agea (la futura Hera-Ferrara) continui a rispondere ai Comuni attraverso l' "Agenzia d'ambito" dei suoi investimenti e delle sue tariffe, la terza è di entrare in Hera con "pari dignità" rispetto ai Comuni fondatori, la quarta è che potessimo scorporare le reti dell'acqua in modo da continuare ad averne la completa proprietà comunale (perché l'acqua è una risorsa strategica ed è controllando le reti che si può garantire qualità e condizioni del servizio). Queste richieste, dopo molti mesi di negoziati tecnici, sono state comprese esplicitamente nell'ipotesi di fusione proposta da Hera, che approderà sotto forma di delibera in Consiglio comunale nei prossimi giorni. Tanto più che ai Comuni soci spetta la nomina del Presidente e del Consiglio di Amministrazione della futura azienda ferrarese. È mia convinzione che si stia decidendo la più importante operazione di politica industriale che la nostra città ha visto negli ultimi dieci anni. Che sia un'azienda pubblica a realizzarla è singolare, ma non anomalo, nel panorama regionale. Esattamente così, infatti, si sono comportati i Comuni di Ravenna, Forlì, Cesena, Imola, Rimini e Bologna con le loro aziende ex municipalizzate due anni prima di noi, quando hanno dato vita ad Hera. Respingere oggi l'ipotesi di aggregazione significa rinunciare a stare con la nostra azienda sul mercato emiliano dei servizi pubblici. Isolarci nel nostro territorio nella convinzione di essere più forti (o di tutelare meglio gli utenti) è un errore. Sarebbe come pensare che per aumentare la competitività dell'industria italiana si debbano chiudere le frontiere ai capitali e alle merci e alle persone. C'è chi lo pensa, ma è fuori dal mondo. Tutt'altra cosa è chiedere strumenti in più di garanzia da parte del Consiglio comunale (in quanto organo di indirizzo e di controllo) sui temi delle tariffe, dell'acqua, della politica dei rifiuti e sugli altri temi di particolare rilevanza per la nostra comunità. Dato che una spa pubblica risponde certo alle norme del codice civile ma deve poter rispondere anche alle indicazioni della proprietà e dei cittadini. C'è il tempo per parlarne e adottare le soluzioni più adatte. Su questo punto sono convinto che sia giusto dare maggiori garanzie sia alla maggioranza che all'opposizione. Gaetano Sateriale Sindaco di Ferrara