Era Eva, 2004 anno della donna - In un libro il "ritratto" di Costanza Monti
20-09-2004 / Giorno per giorno
Mercoledì 22 settembre alle 17, sala Agnelli della biblioteca Ariostea, presentazione a cura dell'assessore comunale Alessandra Chiappini e di Micaela Rinaldi del libro di Gina Nalini Montanari "Un'altra Costanza". LA SCHEDA (A CURA DEGLI ORGANIZZATORI) - Gina Nalini Montanari, Un'altra Costanza - Edizioni Comunicarte Introduzione Walter Moretti (Professore Emerito di Letteratura Italiana dell'Università degli Studi di Ferrara) Il testo che Gina Nalini Montanari ha dedicato alla figlia di Vincenzo Monti è corredato da una ricca documentazione scrupolosamente attinta alle fonti storiche, tanto da dare al lettore l'impressione di trovarsi davanti a un saggio di carattere biografico che intende mettere in luce una figura poco nota del nostro primo Ottocento: un personaggio femminile che con le sue doti intellettuali e con la sua straordinaria bellezza ha esercitato un grande fascino sul mondo delle relazioni sociali e artistiche della sua età. Ma già il metodo adottato nel primo capitolo, con l'anticipazione - secondo la figura retorica della prolessi - dell'ultimo segmento narrativo dell'opera (la solitudine di Costanza a Milano, dopo la morte dei genitori, e la scelta di Ferrara come sua sede terminale), e con la messa in rilievo dell'ineluttabile destino di questo personaggio (cfr. l'ultima battuta di questo primo capitolo: "Ora era veramente sola su questa terra"), ci fa capire l'idea letteraria che ha ispirato questo lavoro: l'intenzione cioè di far rivivere il personaggio attraverso una forma narrativa dotata di prestigio artistico, tale da dare voce alla pietas dell'autrice, alla sua partecipazione al dramma di Costanza combattuta dalle anguste convenzioni sociali del suo tempo, in una realtà inquinata da un sentire ambiguo e torbido, il quale mette a dura prova la sua tensione a un mondo ideale. Qui è infatti rappresentato il dramma di una limpida bellezza femminile, costretta a confrontarsi più volte - in una società attraversata da meschine maldicenze - con un'immagine di basso profilo: la "donna mondana e chiacchierata" (cap. VII). Quando il racconto si allontana dai piani alti della coscienza di Costanza e della sua romantica ricerca di una patria ideale, per dare spazio alle interpretazioni malevole che essa provocava con la sua amabilità, la commossa identificazione della scrittrice con il suo personaggio fa sì che attraverso il suo discorso si senta la voce stessa del personaggio, nel suo dolente monologare sulle incomprensioni e offese ricevute. Un'altra Costanza non privilegia, allora, il flusso narrativo alimentato dalle proustiane "intermittenze dei ricordi" (cap. II), né le sue nitide cadenze ritmiche (in particolare, la sequenza di tre unità verbali fra loro equivalenti), ma assume la forte tensione del "discorso vissuto" per seguire da vicino, con affettuosa partecipazione, i percorsi interiori di una soggettività la cui "voce sottile", stremata dalla malattia, "cercava nel profondo dolore la forza per reggersi ancora in un disperato amore alla vita" (cap. XI). L'autrice ci appare così tesa a cogliere la "voce" del cuore di Costanza, a registrarne in un sensibile racconto il processo di progressivo assottigliamento spirituale: la "focosissima indole" (cap. XIV), che animava le espansive comunicazioni epistolari degli anni felici, si converte nella ricerca del silenzioso raccoglimento in se stessa e del conforto che da esso deriva al suo dolore ("Perché avevano offeso il suo dolore sottraendolo al silenzio?": cap. VI). L'inizio del racconto era stato collocato a Milano, nella "moderna città della nuova magnificenza civile, colta e cosmopolita" (cap. I), nella casa che, all'insegna della fama letteraria del padre e della seduzione mondana della madre, era diventata il luogo d'incontro degli intellettuali che partecipavano ai pubblici eventi nel periodo napoleonico e in quello successivo, segnato dal dominio austriaco e dalla nascita delle idee liberali; la sua conclusione, invece, è ambientata a Ferrara (qui, "se non aveva nessuno da aspettare o che l'aspettasse sulla soglia di casa, c'era qualcuno cui avrebbe potuto dire 'Ti ricordi?'": cap. XII), nel Collegio delle Orsoline o nel Convento di Sant'Antonio in Polesine: nei luoghi claustrali nei quali si era formata la piccola Costanza. Qui, al termine del suo viaggio terreno, essa trova quella quiete alla quale aveva aspirato nei momenti di delusione e sconforto. Il mito padano di Fetonte alla guida del carro del sole, caduto nelle acque del grande fiume vicino al luogo dove sarebbe sorta la città estense, e pianto dalle sorelle trasformate in pioppi, illumina con suggestione poetica il termine di questo lavoro, confermando l'intendimento artistico della sua autrice: "In tempi più recenti la municipalità di Ferrara, quasi a stabilire una sorta di continuità tra Vincenzo Monti, che lasciò il suo cuore in eredità alla città, e Costanza, che volle in essa finire i suoi giorni, ha tributato a Costanza un ultimo omaggio: in un silenzioso quartiere, nella parte nord-ovest della città, la via Costanza Monti Perticari si protende fino a un viale alberato di pioppi che per lei sussurrano il mito delle iliache sorelle".