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BIBLIOTECA ARIOSTEA - Venerdì 18 settembre alle 17 conferenza in sala Agnelli

La relazione tra ‘Democrazia e Stato sociale' secondo Andrea Guazzarotti

17-09-2015 / Giorno per giorno

Indagherà sulla relazione tra ‘Democrazia e Stato sociale' la conferenza di Andrea Guazzarotti in programma venerdì 18 settembre alle 17 nella sala Agnelli della biblioteca Ariostea. L'incontro, che sarà introdotto da Roberto Cassoli, rientra nel ciclo di conferenze ‘La democrazia come problema' curato dall'Istituto Gramsci e dall'Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara.

 

LA SCHEDA a cura degli organizzatori
Democrazia e Stato sociale costituiscono un'endiadi ormai quasi banalizzata: nella manualistica, alla forma di Stato liberale segue inesorabilmente l'avvento della forma di Stato sociale, descritta anche come ‘democratico-pluralista'. I diritti sociali sono, contemporaneamente, l'esito e il presupposto della democrazia (l'esito dell'estensione del suffragio e il presupposto per l'effettivo esercizio dei diritti politici). La Costituzione italiana realizza forse la migliore sintesi, affermando che «(è) compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che [...] impediscono [...] l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese» (art. 3.2 Cost.). Da tempo questa forma di Stato è, però, in crisi. Come può ancora oggi fondarsi sul lavoro la nostra Repubblica democratica (art. 1 Cost.) quando il lavoro è prevalentemente precario o precarizzato e la rendita torna a fruttare profitti da ‘Belle Époque'? Negli ultimi tre o quattro lustri, nell'Unione europea si è tentato di rendere ‘competitivi' i sistemi di welfare statale attraverso metodi che della democrazia hanno poco o nulla: metodi aziendalistici di benchmarking hanno fatto stilare classifiche di Stati primi della classe e stati ripetenti, nell'illusione che l'emulazione competitiva avrebbe indotto quella modernizzazione che avrebbe permesso ai singoli sistemi nazionali di welfare di sopravvivere alla globalizzazione. La crisi dell'euro ha squarciato anche questo velo. Le riforme istituzionali fin qui fatte e progettate per ‘salvare' l'eurozona hanno come prospettive deflazione salariale e aumento della mobilità della manodopera. Ossia procedure di uscita dagli ordinamenti statali meno capaci di ‘competere sui mercati': ‘votare con i propri piedi', come nella cultura statunitense viene definita l'emigrazione interna! Il tutto condito dal paradosso per cui i mercati internazionali dei debiti pubblici statali sarebbero anch'essi una forma democratica di giudizio sull'operato dei governi. Alla passionalità dell'elettore si contrapporrebbe la razionalità dell'investitore. Peccato che si tratti di mercati fortemente oligopolistici e opachi, della cui razionalità è più che lecito dubitare. Esiste una via che permetta di evitare che a forme di welfare minimali corrispondano forme democrazia altrettanto ossificate? Questa via va ricercata nel recupero della sovranità statuale o nella realizzazione di un'Unione politica degli Stati europei?