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"Nata il 9, 9, '99". Micol e la passione per la lettura, la scrittura, il sogno e la fantasia

03-06-2019 / A parer mio

di Micol V.Osti

Sono nata a Ferrara, probabilmente con un po' d'invidia delle compagne di corso di preparazione al parto di mia madre, il 9/9/1999. Mia madre, che guardando per la prima volta il volto del suo neonato sicuramente non poteva essersi già immaginata la mia futura passione per la scrittura, ha preso la felice scelta di chiamarmi Micol, come il personaggio del "Giardino dei Finzi-Contini" del celebre autore ferrarese Bassani. Dunque eccomi qui, sono Micol V.Osti, nata e cresciuta a Ferrara. Per quanto la mia altezza non ricordi minimamente la statura di un vichingo, sono di origini italodanesi da parte materna; cosa di cui, lo ammetto, mi sento piuttosto fiera. Prima di tutto perché mi accomuna al danese per eccellenza, Amleto, della cui tragedia e del cui autore sono una grande ammiratrice. In secondo luogo perché ho sempre pensato che il fatto di essere cresciuta bilingue potesse per natura permettermi di imparare nuove lingue con uno schiocco di dita. Ho dunque scelto di frequentare l'indirizzo linguistico del liceo "Ludovico Ariosto" e in seguito il corso di laurea in Lingue e Letterature Moderne. E ahimè, ho scoperto di essermi sbagliata: di lavoro per riuscire ad apprendere le lingue devo comunque farne un bel po' anch'io. Ma la mia scelta si è rivelata in ogni caso fortunata.

E' stato infatti al mio primo anno di liceo che hanno cominciato a ronzarmi in testa le idee per la storia che è ora diventata la trama del mio romanzo d'esordio, "I Disertori - In bocca al lupo". Certo, le maratone frenetiche che la mia immaginazione ha sempre corso nella mia testa avevano già cominciato a fabbricare i primi mattoni della storia. Avevo già per esempio delineato i miei due protagonisti, il dolce, allegro e pacifista polistrumentista inglese Atlas Alcott e l'irascibile, freddo e riservato pianista tedesco Peter Wolf. Mi ero già fatta ispirare dal romanzo di Michael Morpurgo, "War Horse", e dall'incredibile fatto storico della Tregua di Natale del 1914, per arrivare alla decisione che i miei due protagonisti sarebbero stati due nemici, due giovani intrappolati durante la Prima Guerra Mondiale in divise da soldati e in trincee opposte; quella che sarebbe poi diventata la loro profonda amicizia, sarebbe partita dalla loro volontà di cogliere l'occasione fornita loro dal caso per inseguire il loro comune sogno di tornare ad imbracciare i loro strumenti musicali al posto dei fucili, nonché dalla loro diserzione.

Ma il vero fattore scatenante, ciò che ha finalmente messo in moto il meccanismo, è stata un'assemblea al mio primo anno di liceo, in cui ascoltai la testimonianza di un ex criminale di mafia, Davide Cerullo, raccontare di come da ragazzo fosse rimasto incastrato nella ragnatela della criminalità organizzata, del suo percorso verso la redenzione e del lavoro che oggi fa per tenere i giovani lontani da quell'ambiente.

Il conflitto tra il bene e il male mi aveva sempre affascinato tremendamente. E ci fu qualcosa nel vedere nella vita reale un uomo, che in un libro o in un film sarebbe semplicemente stato catalogato come un "cattivo", trasformarsi in "eroe", fecendo scattare una scintilla in me. Decisi che attraverso i miei personaggi volevo "giocare" con la linea sottile tra il bene e il male che dimora nella natura di ogni essere umano. Inoltre l'eco della terribile testimonianza m'ispirò a voler affrontare la tragedia dei giovani che vengono manipolati e intrappolati negli ambienti mafiosi.

Così decisi che la storia dei miei due disertori, partita dalla Grande Guerra, avrebbe visto il suo vero svolgimento nella New York dei seguenti ruggenti Anni Venti, che dietro al loro cosiddetto "ruggito" non nascondevano altro che l'abitudine alla violenza, causata dalle atrocità della guerra, come dal prepotente dominio della criminalità organizzata. Ho dunque scelto questi due particolarissimi periodi storici come sfondo della storia che volevo raccontare e ho usato i loro problemi per affrontarne di contemporanei.

La terribile fucina della grande guerra ha forgiato i miei due protagonisti e li ha marchiati con le cicatrici del trauma che, nella loro nuova vita nell'America del 1922, ancora si portano sulla pelle e con cui sono ancora costretti a fare i conti. I miei due disertori vogliono essere il simbolo vivente dell'assurdità della guerra e soprattutto dell'odio verso "il diverso", all'epoca ispirato dal patriottismo del conflitto.

In seguito alla diserzione, i due oltrepassano le frontiere e iniziano una nuova vita nella frizzante New York nel pieno dell'epoca del Proibizionismo, come acclamato duo di musicisti nel locale segreto del più potente boss italoamericano della città, Frank De Latini.

Ma quella scintillante vita notturna che scorre tra fiumi di alcol proibito e passi di charleston, è macchiata di segreti, bugie e sangue che coinvolgono anche i due ormai inseparabili amici, ora impantanati nella melma delle sabbie mobili dell'illegalità, persuasi dalle seducenti parole della figura autoritaria che è De Latini. L'uomo è capace di far sentire i due ragazzi - soli al mondo e disorientati - come parte di una famiglia, apprezzati e allo stesso tempo in debito con lui, incatenati a lui come gli avesse legato al collo un guinzaglio invisibile fatto di favori, lusinghe, parole accattivanti e minacce.

Il rombo assordante della guerra riecheggia ancora nelle loro orecchie, l'abitudine inconsapevole alla violenza pulsa ancora calda nelle loro vene. E De Latini sa come usarla. Questa terribile debolezza rende così facilmente manipolabile uno dei miei due protagonisti, da portarlo a compiere gravi errori. Dunque, per quanto i due avessero disertato la Grande Guerra per raggiungere la Grande Mela col fine di fuggire da un incubo e realizzare un sogno, Peter e Atlas si ritrovano invece intrappolati in un ennesimo conflitto, quello tra mafia e polizia, emotivamente ancora più difficile da affrontare perché questa volta non c'è un potere superiore, la nazione, a imporgli da che parte schierarsi, devono essere loro a distinguere il bene dal male e a scegliere uno dei due.

 

Vi ho raccontato un po' di me, di cosa mi ha ispirata a scrivere il mio romanzo e che cosa vuole raccontare questa storia; ma ora faccio un passo indietro, vorrei parlarvi di come sono arrivata a scrivere.

Sono sempre stata una personcina che ama creare, o forse ho più semplicemente mantenuto fortemente la creatività dell'infanzia che crescendo si tende spesso a perdere poco a poco. Se questo sia successo per una mia qualche inclinazione naturale non ne ho idea, ma sono sicura che, almeno in parte, il merito vada al fatto che sono da sempre stata molto esposta alla lettura. Per esempio da bambina c'era sempre, all'ora di andare a dormire, il racconto da parte di mia madre di una fiaba, spesso quelle di Hans Christian Andersen, (ovviamente raccontata da lei rigorosamente facendo le voci, altrimenti che gusto c'era!). Crescendo, arrivata all'età in cui avevo imparato a leggere, sono stata anch'io - come credo accada al 90% dei bambini - intrappolata per un po' in quella fase di rifiuto dei libri. Fino a quando sono incappata nel provvidenziale libro che nella maggior parte dei casi -si auspica- sblocca il meccanismo inceppato. I miei "libri chiave" sono per esempio stati la serie di "Harry Potter" e delle "Cronache di Narnia". Grazie a loro il mio amore per la lettura è cominciato. Tantissimi altri libri hanno seguito quei "colpevoli" di avermi fatto imparare a gustare il piacere della lettura. Poi oltre alle letture personali, attraverso le scuole medie si è aggiunta la scoperta dei grandi classici. Ammetto di essere forse un po' strana, ma "I Promessi Sposi" è stato il mio primo grande amore in questo campo. In seguito il liceo linguistico mi ha dato modo di avventurarmi nelle letterature straniere nelle quali ho scoperto numerosi nuovi amori, tra cui Victor Hugo, Charles Dickens, F.Scott Fitzgerald e, last but not least, il mio amatissimo Shakespeare.

Il mio amore per la lettura ha parallelamente alimentato sempre di più il mio amore per la creazione. Già da piccola ho cominciato a voler imitare i giochi che gli autori facevano per costruire le loro storie. Perché cosa c'era poi di tanto diverso tra il creare e il giocare? Il lavoro dello scrittore, come del fumettista o del regista, non mi sembrava poi tanto diverso dal giocare con una gigantesca casa delle bambole. Ho voluto anch'io iniziare a divertirmi con la mia fantasia. Ricordo che già da piccola, una volta rimboccate le coperte e chiusi gli occhi, anziché farmi prendere subito dal sonno, me ne restavo a raccontarmi mentalmente una storia, e continuavo ad immaginare e a creare silenziosamente fino a quando i colori delle trame che costruivo non si mischiavano alla tavolozza di quelli dei sogni notturni. La sera successiva breve ripasso della "puntata" precedente e poi la creazione riprendeva e così via. Era un modo per divertirmi e poi crescendo si è trasformato anche in un modo per illuminare la giornata e scacciare dalla testa i problemi o le insoddisfazioni quotidiane.

Tuttavia piano piano, è cresciuto in me il bisogno di tirare fuori queste storie dal mio mondo interiore, di trasferirle in quello reale. E' nata la necessità di raccontarle con un qualche mezzo. Così mi sono appassionata al disegno, al cinema e ho infine scelto la scrittura, che non mi limitava tecnicamente tanto quanto il disegno nella mia necessità di narrare e che era molto più facile da affrontare autonomamente rispetto al cinema. E così, avendo trovato il giusto strumento, ho finalmente potuto prendere le storie e gli universi che immaginavo e trasformarli in qualcosa di concreto.

Pensandoci su, la lettura ha avuto nel mio percorso un ruolo davvero importante. Dapprima ha solleticato la mia fantasia, lasciando che la mia vena creativa si rivelasse e in seguito mi è stata da maestra. Ho osservato, studiato, imitato, mescolato ed ammirato le tecniche di scrittura dei miei autori preferiti per imparare a scrivere e per forgiare il mio stile, aggiungendo i miei ingredienti personali e - si spera - originali. Tuttavia il mio modo di scrivere è in continuo movimento e in continua evoluzione, forse per via della mia età o forse per via del semplice fatto che non si smette davvero mai di imparare.

La lettura ha fatto tanto per me, e può dare tantissimo a tutti. Purtroppo vedo gli esseri umani sempre più ingrati nei suoi confronti. Me compresa, che mi ritrovo spesso a farmi mentalmente la ramanzina perché, anziché godermi una buona lettura, realizzo di essermi lasciata abbagliare dai luccichii dei mille post, video, app - e chi più ne ha più ne metta - che la tecnologia ci mette così facilmente a disposizione.

Purtroppo la passività della rete è così seducente in queste nostre vite in cui ci sembra di essere sempre di fretta, sempre a faticare, che ci lascia stremati. Farci "coccolare" senza dover muovere un solo muscolo dalla tecnologia è un'opzione così accattivante agli occhi dei nostri stanchi cervelli. Ma a parer mio ci stiamo facendo del gran male, ci stiamo negando dei gran piaceri. E' vero, leggere richiede quel pochettino di fatica in più, la tua mente non può starsene passiva, deve attivarsi per riuscirci. Quanto è bello però, una volta entrati nell'atmosfera del libro, potersi perdere in un universo infinito raccolto tutto segretamente nella nostra mente, poter creare semplicemente seguendo il suono delle parole! Io lo trovo meraviglioso. Per quanto io sia un'accanita cinefila e per giunta speranzosa di poter un giorno lavorare nel settore (è un sogno un po' troppo grande, ma del resto i sogni e le speranze ci fanno vivere e crescere), c'è qualcosa di estremamente misterioso e potente nel poter essere tu stesso il creatore delle immagini della storia che stai seguendo e nel sapere che quelle immagini sono tue e tue soltanto, non ne esisteranno mai di identiche nella mente di nessun altro al mondo.

Di libri gli scaffali delle librerie sono sempre più strabordanti, purtroppo di lettori ce ne sono sempre di meno. Il che ovviamente rende sogni come il mio, ovvero di riuscire a pubblicare le mie storie, sempre più difficili da realizzare.

Tanti si lamentano di "non essere fatti per la lettura". Ma secondo me non esiste una simile creatura che non sia fatta per la lettura. Si tratta solo di persone a cui la stanchezza quotidiana o, ancora più comunemente, l'imposizione delle letture scolastiche, hanno fatto snobbare o addirittura schifare i libri. Secondo me si tratta solo di persone che non hanno ancora avuto la fortuna di trovato il proprio "libro chiave", quello capace di coinvolgerti tanto da far finalmente aprire quella porta nella tua mente, così pesantemente blindata, dietro a cui si nasconde la reale magia della lettura. Spero che, trovando la forza per appoggiare per un po' il cellulare da un'altra parte, lontano dalla vista e dall'udito, sempre più persone trovino il proprio libro chiave. E chi lo sa, magari posso sperare che il mio romanzo possa esserlo per qualcuno. 

Io, nel frattempo, incrocio le dita, sogno e creo! 

 

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