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BIBLIOTECA ARIOSTEA - Frammenti dell'incontro con il linguista Nicola Grandi dell'Università di Bologna

50 anni di "Dieci Tesi per un'educazione linguistica democratica": com'è cambiata la didattica della lingua italiana?

16-03-2025 / Giorno per giorno

"Dieci tesi per l'educazione linguistica democratica", a cinquant'anni dalla loro prima pubblicazione: un pretesto per fare il punto della situazione sulla lingua italiana e sul suo insegnamento. Questo il tema dell'incontro con Nicola Grandi, professore ordinario di Linguistica generale dell'Università di Bologna, tenutosi mercoledì 12 marzo 2025 in Biblioteca Ariostea. 

L'incontro si è aperto con l'introduzione al testo, rivelatosi poco conosciuto per la maggior parte dei presenti che, dal veloce sondaggio per alzata di mano, ne avevano sentito parlare, ma non l'avevano mai letto. Esso comparve per la prima volta il 10 aprile 1975, redatto collettivamente dai membri del GISCEL, il Gruppo di Intervento e Studio nel Campo dell'Educazione Linguistica, sotto la guida di Tullio De Mauro. L'obiettivo era di educare gli studenti a usare la lingua consapevolmente per agevolare la loro integrazione nella società democratica del tempo, ancora caratterizzata da profonde differenze culturali ed economiche, oltre che linguistiche.

Grandi, in particolare, si è soffermato sul legame con il clima culturale dell'epoca: da una parte il Sessantotto, dall'altra Don Milani e le sue proposte, che miravano ad una scuola più attenta alle esigenze dei ceti bassi e evidenziavano le difficoltà di insegnare in italiano in un contesto di partenza dialettofono, in cui la scuola trasformava il dialetto in uno svantaggio, anziché in una risorsa da preservare.

Grandi ha continuato, tra il serio e il faceto, sottolineando quanto questa pubblicazione abbia fatto scalpore all'epoca, paragonandola allo sdegno per le nuove indicazioni nazionali per le scuole, pubblicate dal ministro Valditara qualche giorno fa, ma per motivi diversi. Se la riforma Valditara crea scalpore per il suo tono conservatore e eurocentrico, le Tesi, invece, erano ritenute sovversive rispetto alla didattica di allora. Inoltre, una delle precedenti pubblicazioni di De Mauro, Storia linguistica dell'Italia Unita, aveva creato non pochi problemi: gli era valsa l'accusa di comunismo e la squalifica da vari concorsi universitari, era un sovversivo. Ma, in realtà, esiste un collegamento reale tra il 1973 e il 2025. Infatti, all'interno delle nuove linee guida del MIM (Ministero dell'Istruzione e del Merito), vi sono dei riferimenti in negativo proprio alle Dieci Tesi, già da qualche settimana nel mirino della commissione per la riforma Valditara, perché accusate del naufragio dell'apprendimento della lingua italiana e in particolare di alcuni problemi sociali, quali l'analfabetismo di ritorno.

Ma, come ha dimostrato Grandi, le tesi di De Mauro non hanno mai avuto una vera applicazione, quindi l'accusa è infondata: "Non mi sembra che le Tesi siano alla base dell'insegnamento negli ultimi cinquant'anni: sono esemplificativi alcuni passi in cui si criticano i famosi temi, i "pensierini" e le interrogazioni, ancora oggi pilastri della scuola. Essi sono presi come esempio di una didattica della lingua scollata dall'uso reale, una competenza linguistica finalizzata alla circostanza scolastica, che non può essere utilizzata all'esterno". 

Quindi, è importante, ha riportato il professore, non tanto tornare alla grammatica "tradizionale" fatta di regole, come indicato dal Ministero, ma di guardare la materia di Lingua Italiana come educazione e non come insegnamento. Infatti, la lingua madre non si insegna, ogni bambino arriva a scuola con un bagaglio di conoscenze pregresse, imparate fin dal primo giorno di vita: "La differenza dell'ora di grammatica della propria lingua nativa rispetto alle altre discipline è che non si insegnano contenuti, ma si riflette su contenuti già noti, cioè bisogna rendere esplicite le competenze che gli studenti, a tutte le età, hanno già". Dopo, sollecitato da una domanda del pubblico, aggiunge sul tema: "È necessario lavorare sulla comprensione del testo nelle scuole, ma che siano testi reali: articoli di giornale, saggi scientifici, e perché no anche le chat. Non dobbiamo trascurare nessun registro linguistico, perché sono tutti fondamentali per costruire la consapevolezza linguistica nei diversi ambiti sociali. Il compito dell'insegnante, non solo di quello d'italiano, è quello di insegnare a riconoscere i contesti in cui utilizzare i diversi registri, imparare a distinguere quelli formali da quelli informali". 

L'intervento si è concluso ricordando il valore delle Dieci Tesi come manifesto politico della scuola: "L'educazione linguistica non è per forza democratica. Sarebbe bello organizzare una scuola che dia lezioni e competenze che facilitino l'integrazione di tutti nell'assetto politico sociale. Le lingue non esistono senza le comunità che le parlano perciò possono essere elemento di inclusione o esclusione dalla società". Poi, Grandi ha ricordato quanto ci sia ancora da fare per rendere la lingua accessibile a tutti, italiani e stranieri, con riferimento sia a fenomeni di analfabetismo funzionale, ma anche all'uso inappropriato della lingua, solitamente oscura e ambigua, nelle leggi e nei testi amministrativi. 

Alla fine dell'incontro, un partecipante, qualificatosi come docente di sostegno, ha ricordato quanto il lavoro di ciascun insegnante sia fondamentale nell'educare all'uso della lingua. In particolare, nella sua posizione, crede, attraverso l'educazione linguistica, di poter contribuire all'educazione affettiva. La riflessione è stata ribadita dal professor Grandi, che ha ricordato come la lingua, il contesto affettivo e relazionale siano alla base dello sviluppo cognitivo sano di ogni bambino. 

[Resoconto a cura di Maria Luigia Buccolieri, tirocinante Unife all'Ufficio Stampa del Comune di Ferrara]

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