MEIS - Presentazione alla Sala Boldini mercoledì 9 giugno alle 11. Scheda e testi del cortometraggio
Il bando per il Museo dell'ebraismo: progetti e immagini 'dal carcere al museo'
07-06-2010 / Giorno per giorno
La Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna, il MEIS e il Comune di Ferrara hanno organizzato mercoledì 9 giugno alle 11, nella sede della sala Boldini (via Previati 18 a Ferrara) la presentazione pubblica del Concorso Internazionale per il Museo dell'Ebraismo - Progetti e immagini. In programma la proiezione del cortometraggio di Daniele Donà e Francesco Scafuri "Verso il MEIS: dal carcere al museo", gli interventi delle autorità cittadine e la presentazione del Bando di concorso internazionale di progettazione del Meis da parte di Carla Di Francesco, direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia Romagna.
LA SCHEDA (a cura degli organizzatori) - Il concorso internazionale di progettazione del MEIS è un momento di fondamentale importanza per il patrimonio culturale italiano. Esso rappresenta un'occasione straordinaria per la cultura architettonica contemporanea per dare un senso nuovo all'edificio delle ex carceri cittadine. La riqualificazione urbanistica della zona (Darsena, ex Mof), la qualità del progetto architettonico, i percorsi espositivi e le altre attività del futuro Museo sono chiamati a interagire al fine di confermare e rafforzare la vocazione artistica e culturale di Ferrara. La presentazione alla cittadinanza del bando di concorso contribuirà a far percepire la portata nazionale e internazionale del progetto.
LA SCHEDA del cortometraggio (a cura dei realizzatori)
>> Cortometraggio "Verso il MEIS: dal carcere al museo"
Durata: 18 minuti c.a.
Realizzazione riprese e montaggio: tra il 2009 e il 2010
Riprese, regia e montaggio: Daniele Donà
Testi, documentazione, ricerche e voce: Francesco Scafuri
Musiche: Raniero Gaspari
Si ringraziano: Francesco Cacciola, Vincenzo Cataneo, Carla Di Francesco (Dir.Generale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Em.Romagna), Ilaria Franciosi, Gad Lerner, Paolo Ravenna, Sandra Sarasini, Piero Stefani.
> Testi a commento del cortometraggio sull'ex Carcere di via Piangipane e sul "Museo Nazionale dell'Ebraismo Italiano e della Shoah" di Francesco Scafuri
Parte prima: dal carcere al museo
1) Introduzione storica dell'area
La storia che vogliamo raccontarvi ci porta inizialmente presso l'antico convento di San Paolo in piazzetta Schiatti, oggi sede di uffici pubblici. Di origine medievale, fu dapprima sede dei padri carmelitani, e dal 1798, a seguito delle soppressioni napoleoniche, adibito a carcere, destinazione d'uso che mantenne anche nel corso del XIX secolo; ma agli inizi del Novecento gli ambienti degli eleganti chiostri quattrocenteschi si erano dimostrati insufficienti e non idonei. Cosicché, con il contratto di permuta del 4 maggio 1906, il Demanio cedeva al Comune di Ferrara il carcere di San Paolo, che in seguito fu destinato a vari usi, mentre l'Amministrazione Comunale cedeva allo Stato un'area in via Piangipane, sulla quale sarebbe sorto tra il 1908 e il 1912 un moderno penitenziario.
Un'area anch'essa non priva di fascino di cui brevemente tracceremo l'evoluzione urbanistica.
Ricorriamo innanzitutto alla pianta di Ferrara di Giovan Battista Aleotti del 1605, dove riconosciamo l'alveo del Po di Ferrara, che sia pure ormai in parte interrato, tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo scorreva ancora a meridione della città, difesa dalle antiche mura che ne segnavano il perimetro; nell'area sud occidentale del centro urbano, che a noi più interessa, queste fortificazioni correvano a sud della via "Grande" (l'attuale via Ripagrande) e parallelamente ad essa. Qui il tracciato difensivo era caratterizzato ancora da difese in muratura di origine medievale e dal baluardo cinquecentesco di Gusmaria con annessa porta civica. La sponda sinistra del fiume seguiva l'andamento dell'asse di quella che diverrà in seguito la via Piangipane, perciò la zona su cui agli inizi del Novecento verrà costruito il carcere (di cui poi parleremo), era in gran parte occupata da letto del fiume. Nel '600 il prosciugamento dell'asta fluviale divenne definitivo, mentre la linea delle mura meridionale, oggetto anche in seguito di varie modifiche, fu spostata un po' più a sud e trasformata secondo nuove concezioni strategico-militari. Tali cambiamenti sono segnalati dalle piante seicentesche e da quelle successive, come il famoso alzato settecentesco della città di Ferrara di Andrea Bolzoni, che mostra, tra l'altro, anche la presenza del tracciato della via Piangipane ed una consistente superficie, denominata "Orto della Grotta", costituita da alcuni terreni definitivamente prosciugati dall'acqua e messi a coltura, oltre che da pochissime case.
Nelle carte ottocentesche (ed in particolare in quella dello Scanavini del 1888) si nota la precisa divisione patrimoniale della zona coltivata ad orto; la pianta registra inoltre come il sedime del lotto che verrà in seguito occupato dal carcere, corrisponda precisamente ad un'area formata da sei campi coltivati.
La pianta di Ferrara in cui appare per la prima volta la struttura del carcere è quella del 1912, da cui si evince che la zona scelta per la costruzione della struttura penitenziaria a sud di via Piangipane è ancora sostanzialmente agricola. Solo negli anni successivi verranno costruiti i primi edifici ed alcune attività artigianali, mentre nel secondo dopoguerra il tessuto urbano intorno al carcere sarà ormai saturo e consolidato, attestandosi sulle strade della Grotta, Parmeggiani, Malaguti, Frassoldati e Succi, tutte parallele fra loro.
Mentre la nuova urbanizzazione si integrava con la preesistente, a partire dagli anni '30 del '900 in prossimità dell'area in questione fu abbattuto un tratto delle mura pontificie per fare spazio alla costruzione delle vicine strutture pubbliche dell'Acquedotto e dell'ex Mercato ortofrutticolo. A questa grave lacerazione della cerchia urbana, si è aggiunta nei decenni sussessivi l'ulteriore riduzione del terrapieno e del paramento murario dell'intero tratto di mura parallelo alla via Rampari di San Paolo, anche a causa del collocamento nel 1981 della stazione delle autocorriere nell'area a sud delle ex carceri.
2) L'ex Carcere giudiziario di Ferrara (costruito dal 1908 al 1912)
Dopo il primo intervento di Scafuri, inserire
Il progetto dunque fu redatto dagli Ingegneri Bertotti e Cav. Facchini dell'Ufficio del Genio Civile", mentre la direzione venne affidata agli Ingegneri Cav. Ponti e Fabbri dello stesso ufficio ed eseguite dall'impresa Luigi Brandani.
I tecnici concepirono un complesso architettonico con pianta a palo telegrafico, comune ad altre sedi detentive, dove potevano essere rinchiusi fino a 150 carcerati. Il penitenziario, che si estende oggi come allora da via Piangipane a via Rampari di San Paolo, occupava quasi un intero isolato.
Inaugurato nel 1912, vi si accedeva da via Piangipane, sulla quale si affacciavano due bassi fabbricati ad un solo piano (foto del 1912), adibiti a corpo di guardia militare e ad abitazione del capo degli agenti addetti alla custodia dei detenuti. I due corpi di fabbrica furono in seguito uniti e venne aggiunto un altro piano, così come risulta già nella cartografia del 1939. Qui fu ricavato poi l'appartamento del direttore e del comandante degli agenti di custodia. Nella parte retrostante l'edificio c'era il cortile d'ingresso, oltrepassato il quale si accedeva al fabbricato centrale (a due piani più un interrato), dove erano stati dislocati i locali di servizio (caserma delle guardie, uffici amministrativi, ragioneria, archivio, magazzini, parlatoi e bagni). Da qui si potevano raggiungere le varie sezioni di detenzione.
Il blocco per i detenuti comuni inquisiti, perpendicolare alla via Piangipane, era il più vasto: vi si accedeva tramite un'ampia scala al termine della quale una lunga corsia centrale disimpegnava ben 60 celle poste su due livelli con relativi ballatoi al piano superiore, sopra al quale si estendeva un terzo piano, con sei grandi cameroni che costituivano la sezione per i carcerati già giudicati o che avevano chiesto l'appello e che perciò potevano rimanere insieme, anche più di 7-8 detenuti per cella.
Nei sotterranei le 30 celle di isolamento, se da un lato offrono all'osservatore la suggestione degli spazi ed un certo alone di mistero, dall'altro evocano le interminabili giornate vissute dai carcerati in questi luoghi di reclusione così umidi e angusti. Tra i reclusi in quest'ala, a cavaliere tra gli anni '30 e '40 del Novecento, probabilmente anche alcuni detenuti ebrei e diversi antifascisti.
Essendo necessario scongiurare ogni possibile evasione, i fabbricati ed i cortili erano racchiusi all'intorno, ad esclusione del fronte su via Piangipane, da un doppio muro di cinta con cammino di ronda militare e garitte per le sentinelle in cemento armato; all'esterno, poi, era stata predisposta una zona di terreno, chiusa da siepe metallica, detta strada di ronda esterna.
Il carcere (visione aerea), sia pure adattato nel corso del Novecento alle diverse esigenze carcerarie, con varie trasformazioni interne e l'aggiunta di alcuni corpi di fabbrica, come la grande cucina ed un ampio laboratorio, mantiene in gran parte l'assetto originario, molti spazi suggestivi ed alcune strutture di pregio ed anche le destinazioni d'uso dei vari corpi di fabbrica sono rimaste pressochè le stesse. Il complesso venne utilizzato come Casa circondariale fino al 9 marzo 1992, giorno in cui fu attivata la nuova sede di via Arginone.
Ma cosa accadeva quando un inquisito o un condannato entrava in carcere?
Interviste all'ispettore capo della Polizia Penitenziaria.
Tracce del passaggio dei detenuti, soprattutto databili agli anni '70 e '80, sono ancora presenti nelle celle dell'ex carcere.
Nelle sezioni maschili, le immagini di donne nude, spesso esplicitamente pornografiche, raccontano della solitudine dei tanti detenuti che ancora negli anni '70 e '80 scontavano la condanna negli spazi ridotti delle celle.
Disegni e scritte mettono in luce la varia umanità dei reclusi, singole personalità intrise di aspirazioni artistiche e qualche volta poetiche, ma anche di profondo disagio sociale.
Pericolosi esponenti del terrorismo nero e rosso, tristemente famosi negli stessi anni, quelli della strategia della tensione, che pure sono stati rinchiusi qui, sembra non abbiano lasciato traccia (celle).
Nella sezione est, quella destinata alle donne, invece, la sensibilità femminile si manifesta attraverso la speranza di vivere un amore impossibile, magari con un attore ricco e di successo come Tom Cruise, che negli anni '80, epoca a cui si riferisce quest'immagine, era già un personaggio di successo e tra i più pagati. La foto affissa alla parete della cella fa pensare ad una sorta di riscatto delle detenute verso una vita che, nel rapporto con gli uomini, probabilmente aveva riservato amare sorprese.
Il carcere di via Piangipane è tristemente legato alle vicende che videro Ferrara segnata profondamente dalla violenza fascista. Vi sono testimonianze che confermano la presenza all'interno del penitenziario di antifascisti ed ebrei, alcuni dei quali barbaramente trucidati dai repubblichini o deportati nei vari campi di concentramento.
Basti ricordare l'avv. Ugo Teglio (figlio di Emilio Teglio, preside del liceo Ariosto cacciato dalla scuola dopo la promulgazione delle leggi raziali), che si iscrisse al partito socialista ed ebbe contatti con importanti esponenti dell'antifascismo, oppure Alberto Vita Finzi (rappresentante di commercio), la cui unica colpa fu quella di aver espresso pubblicamente la sua gioia all'indomani del crollo del regime fascista con l'arresto di Mussolini (25 luglio 1943). Entrambi furono prelevati durante la notte tra il 14 ed il 15 novembre del 1943 dal carcere di via Piangipane, nel quale erano reclusi dal 7 ottobre insieme al magistrato Pasquale Colagrande e all'avv. Giulio Piazzi.
Tutti furono fucilati dai repubblichini ed i loro cadaveri vennero esposti con altri 7 martiri barbaramente uccisi, quale macabro monito, presso il muretto del Castello Estense, poi ricordati, a futura memoria, dalle lapidi ivi poste. L'episodio, triste simbolo della barbarie fascista, avvenuto nella notte fra il 14 e il 15 novembre 1943, è rievocato magistralmente da Giorgio Bassani nel racconto "Una notte del '43", da cui è stato tratto il celebre film con la regia di Florestano Vancini.
Quella lunga notte si trovava agli arresti nel carcere di via Piangipane anche Eugenio Ravenna, che all'epoca aveva 23 anni. Questi sarà uno dei pochi a ritornare dal campo di concentramento di Auschwitz.
In una cella del carcere di via Piangipane fu recluso, a causa della militanza antifascista, tra il maggio ed il luglio 1943, anche lo stesso Bassani, le cui sofferenze di quel periodo non lo piegarono, anzi servirono da stimolo all'uomo e allo scrittore, tanto che nell'immediato dopoguerra e negli anni successivi sarà l'indimenticabile autore di alcuni tra i testi letterari più belli e intensi del Novecento, come "Cinque storie ferraresi" e "il Giardino dei Finzi-Contini".
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PRESENTAZIONE BANDO INTERNAZIONALE MEIS (da www.cronacacomune.it del 19-4-2010)
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