LABORATORIO TEATRALE - Presentato alle autorità il progetto nella casa Circondariale di Ferrara
L'arte del teatro, esperienza di vita e di futura liberà
21-07-2010 / Giorno per giorno
Pubblichiamo l'intervento del regista Horacio Czertok (responsabile Laboratorio Teatrale) alla presentazione, avvenuta ieri mattina 20 luglio, delle prove dello spettacolo teatrale con detenuti della Casa Circondariale di Ferrara. Alla performance proposta nella palestra della struttura detentiva cittadina hanno partecipato molte autorità tra cui il prefetto Provvidenza Raimondo, il sindaco Tiziano Tagliani, i Comandanti di Carabinieri e Guardia di Finanza, l'assessore comunale ai Servizi alla Persona Chiara Sapigni, il direttore del Carcere Francesco Cacciola e altri rappresentanti di enti e associazioni.
"Prima di tutto, benvenuti al laboratorio teatrale della casa circondariale di Ferrara.
Spettacolo o prova
Abbiamo voluto condividere con voi il lavoro che stiamo facendo sul "Woyzeck", un dramma dello scrittore tedesco Georg Buchner. Non uno spettacolo, che sarà pronto per l'autunno, ma una prova.
Prova e spettacolo
Nel lavoro del teatro la ricerca e le prove sono più ricchi che lo spettacolo che si riesce infine a produrre. Questo perché le regole dello spettacolo sono diverse da quelle del laboratorio. Lo spettacolo è una macchina in cui tutto si deve tenere, con degli automatismi e delle logiche proprie che lo spettatore deve poter essere in grado di condividere. Ciò impone sacrifici, e frammenti, a volte intere scene e persino dei personaggi devono scomparire perché lo impone la logica dello spettacolo.
Nel teatro in carcere però l'essenza che emerge nelle prove ha un valore particolare. Perché confrontandosi con i personaggi e con la storia che si racconta, questi attori speciali fanno dei percorsi interiori, compiono delle vere e proprie esperienze culturali, arricchiscono la materia stessa del teatro.
Perciò assistere ad una prova consente di apprezzare temi e materiali che probabilmente non ci saranno più nello spettacolo perché considerate non utili a quel fine. Per esempio proviamo tante canzoni, ognuna delle quali richiede tanta dedicazione e lavoro. Può accadere che quella che consideriamo la più bella, addirittura la più rappresentativa, non ci stia e sia quindi eliminata.
Abbiamo lavorato con decine di detenuti, molti dei quali non sono più qui e non saranno nello spettacolo che è comunque fatto con la loro partecipazione. Con il tempo e la conoscenza, la storia di Woyzeck, questo uomo che commette un crimine spinto da forze che non è in grado di contrastare e che viene poi punito da quelle stesse forze, è diventato un nostro oggetto comune.
perché lo facciamo
Spesso mi chiedono perché faccio teatro qui. Perché ci ostiniamo nel tenere vivo questo laboratorio
Io e Marinella Rescigno qui, e Andrea Amaducci. Oltre alla nostra paga d' attori, perché accettare questa durezza che ogni giorno il carcere ci impone a noi come a tutti quelli che sono qui a fare la loro parte.
Mi sono trovato a rispondere: queste persone qui, i detenuti, prima o poi usciranno. E verranno a vivere vicino a casa mia: come voglio che sia il mio vicino di casa? La legge ci autorizza a partecipare nel "percorso trattamentale" da normali cittadini, che è poi quello che siamo qui, non avendo altra autorità che quella che la nostra pratica ha guadagnato sul campo. Abbiamo pensato che se possiamo, allora dobbiamo farlo.
Durante circa tre anni ho lavorato qui con Aissa Monceff, un cittadino tunisino. Insieme abbiamo fatto un buon percorso. Un bel giorno esco da casa mia e chi ti trovo lì per strada in bicicletta? Aissa. Gli dico cosa ci fai qui? Sei scappato di prigione? No, risponde, sono libero ora. Ho capito ma cosa ci fai qui? Ah io qui ci vivo. Sulla mia strada. A trenta metri da casa mia.
Così peraltro è nato uno spettacolo, che abbiamo cominciato a presentare tre settimane fa a Modena: si chiama "il mio vicino di casa". Aissa e me raccontiamo questo aneddoto insieme ad altre cose che ci siamo trovati a vivere qui nel carcere e che ci hanno fatto crescere, tutti e due, e che vogliamo condividere per capirle meglio, già che solo nella condivisione si capisce di cosa siamo fatti per davvero. Ma questa è un'altra storia.
Qui si soffre
Sulla porta della nostra sala di lavoro, qui, vi è una scritta invisibile. Dice: qui si soffre. In nessun altro posto delle nostre città vi è un tale concentrato di sofferenza. Sofferenza vera. Fatta di deprivazione della libertà, degli affetti primari- la famiglia, i figli- e anche di quelli secondari, gli amici, il contesto, ciò che da forma e senso alle nostre esistenze. È una sofferenza che il detenuto accetta, per fare la sua parte nel duro gioco della giustizia umana. È questo fatto, questa sofferenza accettata e compiuta ogni ora e ogni giorno, fa di queste persone esseri speciali. Il loro teatro qui è impastato con la sofferenza. Ciò rende sacro questo palcoscenico.
Noi non siamo giudici. Spesso non sappiamo niente delle loro biografie. Non ci riguardano. Qui, a teatro, loro sono persone oltre la loro biografia giudiziaria.
C'è l'urgenza di raccontarsi. Di dare un senso a questa sofferenza creandone un oggetto d'arte. Non possiamo permetterci di male utilizzarla. Di sprecarla. Perciò, dobbiamo essere rigorosi.
Il coordinamento
Oltre al lavoro specifico qui nel teatro, siamo riusciti in questo anno a creare un coordinamento dei teatri che lavorano nelle carceri della regione, noi ne siamo il capofila, è un motivo d'orgoglio per la nostra città essere riuscita a farlo e a sostenerlo. Uno degli scopi del coordinamento è la formazione: è importante perché questo lavoro qui non si impara in nessuna scuola, in nessun conservatorio o accademia. Non c'è la carriera di "teatrante in carcere". E abbiamo tante cose da imparare e da insegnare: il coordinamento vuole essere quello spazio.
Aiutateci
Aiutateci a far si che questa diventi un'attività lavorativa per chi vi partecipa. Il teatro qui è un lavoro, non divertimento o ricreazione. Un lavoro che produce benefici non solo per chi lo fa ma per tutti.
Aiutateci a portare all'attenzione dei cittadini questo lavoro. Ne abbiamo già fatto l'esperienza e perciò lo sappiamo, molti cittadini ci aspettano, vogliono assistere al prodotto del nostro lavoro, partecipare alla scommessa che vive dentro.
Il teatro dei teatri
Perché è così importante? Perché in quello spettacolo dato al teatro comunale, che è ancora nella memoria di molti, si sono intrecciati tanti teatri nello stesso tempo.
Il teatro dei detenuti che si confrontano anzitutto con se stessi: la scommessa di presentarsi con un volto nuovo da cittadino a cittadini. Poi il confronto con gli altri detenuti con un linguaggio nuovo dalle regole nuove e antiche che costringe a uscire da logiche obbligate.
Il teatro del confronto tra i detenuti e i cittadini oltre lo stigma (una volta carcerato, sempre carcerato), così che i cittadini possono dare testimonianza della propria volontà a sostanziare la voglia di riscatto dei detenuti, e i detenuti dare testimonianza, col proprio agire nello spettacolo, di quella volontà.
Infine ma non meno importante, anzi per me forse quello più importante, il teatro del confronto tra i detenuti e le loro famiglie, lì, tra gli ori e i velluti del salotto buono della città: le loro moglie e madri e padri e soprattutto i loro figli possono per una volta assistere al plauso, alla testimonianza di un atto di scandalosa novità: i cittadini applaudiamo quelle persone che abbiamo condannato a soffrire dietro le sbarre. Perciò ora quella sofferenza, quella dei famigliari, quella dei figli condannati anche loro a vivere senza il padre, acquista un senso, pur nella sua fragilità di oggetto effimero. Quei figli che hanno sempre dovuto vedere il loro padre nella sala colloqui del carcere ora hanno stampata nella loro memoria un'immagine da far da contraltare, un immagine positiva, del loro padre applaudito. Non è retorica, l'ho visto, sul palcoscenico del comunale dietro il sipario, i figli aggrappati alle gambe dei loro padri, abbracciati, a dire papà, ti hanno applaudito! Lacrime bagnavano quelle facce dure rese rigide dal dolore. Fuori dalla vista, certo, i sentimenti privati non concernono lo spettacolo se non col diaframma dell'illusione teatrale. Però quel sentimento che il teatro ha creato è ben vero anche nella sua memoria di padre: ho fatto qualcosa per mio figlio.
Per questo siamo qui. Per fare questo spettacolo, per tutti quei teatri che ci consente di fare vivere."
Horacio Czertok - coordinatore progetto Laboratorio Teatrale