POLITICHE PER LA PACE - Insieme all'associazione 'Casa degli Angeli di Daniele'
Delegati del Comune di Ferrara ritrovano in Bosnia le 'Madri di Srebrenica'
21-07-2010 / Giorno per giorno

Dal 10 al 13 giugno scorso, a distanza di quindici anni del genocidio di Srebrenica, una delegazione composta da rappresentanti dei Comuni di Ferrara, San Felice sul Panaro (Modena) e Pieve di Cento (Bologna) e con il patrocinio del Comune e della Provincia di Ferrara, si è recata in Bosnia Erzegovina. L'iniziativa è stata coordinata dalla presidente dell'associazione onlus di Pieve di Cento 'Casa degli Angeli di Daniele' Nedda Alberghini per poter partecipare alla cerimonia inaugurale della nuova sede delle Madri di Srebrenica di Tuzla - destinata a luogo di accoglienza, Centro di documentazione e Casa della Memoria - donata proprio dall'associazione bolognese.
"Il legame con le Madri di Srebrenica risale ad ottobre del 2009 - ha affermato oggi Nedda Alberghini nel corso della conferenza stampa in Municipio a bilancio dell'iniziativa - quando la nostra associazione ha loro conferito il Premio Internazionale "Daniele / Case degli Angeli", un riconoscimento che assegniamo annualmente a personaggi altamente meritevoli per l'impegno nella difesa dei diritti umani. E da allora era rimasto il progetto di visitare quei luoghi di violenza e di dolore che ci furono drammaticamente testimoniati e che ancora oggi attendono anche da noi una collaborazione per ritrovare la serenità e il benessere perduti".
Dell'iniziativa dello scorso ottobre la nostra città aveva poi parlato sia ospitando le vincitrici sia coinvolgendole in pubblici incontri con le associazioni e le scuole. In Bosnia il nostro Comune, capofila della delegazione che ha portato anche il segnale di un preciso impegno di cooperazione e di pace della Regione, era rappresentato dal presidente del Consiglio Comunale Francesco Colaiacovo, dall'assessora alle Relazioni e Gemellaggi Rossella Zadro e dalla responsabile dell'Unità Organizzativa Manifestazioni Culturali e Turismo, Politiche per la Pace Maria Teresa Pinna.
"La casa donata - ha ricordato l'assessora Rossella Zadro - sarà un supporto per l'associazione delle Madri di Srebrenica, decise ancora oggi a quindici anni di distanza da quel fatidico 11 luglio ad attribuire un nome alle 8320 vittime ritrovate nelle fosse comuni e a restituirle alle loro famiglie. Un impegno incessante e dolorosissimo, che proprio a Tuzla ha uno dei riferimenti importanti, perché in quella città si trova il centro scientifico adibito alla valutazione dei reperti. E un'opera che si affianca alla silenziosa ma tenace denuncia svolta attraverso la marcia che si ripete ininterrottamente ogni 11 del mese per le vie di Tuzla, quando le donne sfilano con i cartelli dei nomi dei loro cari uccisi".
"Il viaggio attraverso i territori di Tuzla, Srebrenica e Sarajevo - ha confermato Francesco Colaiacovo - è stata per tutti noi anche l'occasione per cercare di capire la realtà socio /politica della Bosnia e per cogliere, per quanto possa essere possibile in pochi giorni, le ragioni che hanno trasformato un Paese che agli occhi di tutti era un modello di integrazione multietnica, in un luogo di mattanza, di odio e violenza inaudita. Dalle testimonianze, soprattutto di chi sta lavorando alacremente per ricostruire la propria comunità nella convivenza tra le diverse etnie, - ha poi aggiunto - emerge l'incapacità a trovare una vera spiegazione a tale immane tragedia."
LA SCHEDA - (Intervento del presidente del Consiglio comunale Francesco Colaiacovo) L'8 giugno u.s. con legge 97 il Parlamento italiano ha ratificato l'accordo di stabilizzazione e di associazione tra la Comunità Europea e i loro stati membri con la Bosnia Erzegovina approvato a Lussemburgo il 16 giugno 2008.
L'accordo favorisce lo sviluppo del commercio (creazione di una zona di libero scambio tra la Comunità e la Bosnia-Erzegovina), degli investimenti e della cooperazione tra le Parti in numerosi settori, tra cui, in particolare, giustizia e affari interni.
L'atto sancisce la disponibilità della UE ad integrare il più possibile la Bosnia-Erzegovina nel contesto politico ed economico dell'Europa, anche attraverso un ravvicinamento della legislazione locale, nei settori pertinenti, a quella della Comunità. Per quanto riguarda la cooperazione regionale, l'ASA costituisce la premessa per l'evoluzione futura delle relazioni con la Bosnia-Erzegovina nella prospettiva di una sua progressiva integrazione nelle strutture dell'Unione. L'Accordo riconosce infatti la qualità della Bosnia come potenziale candidato all'adesione alla UE sulla base del Trattato sull'Unione europea e del rispetto dei criteri definiti dal Consiglio europeo di Copenaghen del giugno 1993.
Quando il successivo 11 giugno la nostra delegazione ha incontrato l'amministrazione comunale di Tuzla, Il Sindaco ha spesso richiamato l'importanza di tale ratifica da parte dell'Italia in quanto si aspetta un consolidamento delle numerose forme di collaborazione già in essere con il nostro paese e in particolare con la Regione Emilia Romagna.
Il viaggio è stata anche l'occasione per cercare di capire la realtà socio /politica della Bosnia e cercare di cogliere, per quanto possa essere possibile in pochi giorni, le ragioni che hanno trasformato un paese che agli occhi di tutti era un modello di integrazione multietnica, in un luogo di mattanza, di odio e violenza inaudita.
Dalle testimonianze, soprattutto di chi sta lavorando alacremente per ricostruire la propria comunità nella convivenza tra le diverse etnie, emerge l'incapacità a trovare una vera spiegazione a tale immane tragedia; racconta la responsabile di una cooperativa che a Mostar il venerdì prima che scoppiasse la guerra si erano svolti sette matrimoni misti e la sua vita da ortodossa si era svolta fino a quel momento nella più assoluta normalità frequentando regolarmente persone delle altre etnie.
Secondo il Vescovo di Sarajevo una tale violenza può esplodere soltanto se a fronte di una convivenza apparentemente tranquilla, nella realtà vi fosse un astio represso, latente.
Dalle varie analisi appare come plausibile una chiave di lettura che vede nella crisi economica seguita alla frantumazione della ex Jugoslavia la ragione dell'esplodere dei nazionalismi, nella storia ricorre spesso il fenomeno per cui, quando si vivono momenti di crisi, di difficoltà si cerchino capri espiatori in chi in qualche modo è diverso, c'è sempre una minoranza a cui addossare la causa di tutti i mali, si pensa che una comunità etnicamente pura sia più dinamica e capace di produrre sviluppo e ricchezza.
Con le giuste proporzioni si può vedere una certa analogia con l'esplosioni dei nazionalismi e delle spinte autonomiste che si stanno registrando in varie parti di Europa proprio in concomitanza con questi anni di crisi economica.
Nei commenti sia delle autorità locali che della gente comune, si imputa all'Europa la responsabilità di non aveva raccolto in modo solerte la richiesta di aiuto dell'ultimo Capo del Governo Federale Jugoslavo, Ante Markovic che propose una solida e strutturale riforma economica.
Dopo gli accordi di Dayton, la situazione politica ed economica della Bosnia-Erzegovina non si è evoluta positivamente quanto avrebbero auspicato la maggior parte dei bosniaci e l'opinione pubblica internazionale, nella realtà tali accordi hanno rappresentato la ratifica di una situazione di fatto di divisione etnica.
Anche rispetto all'accordo di stabilizzazione e associazione con l'Europa le battute d'arresto e gli ostacoli verso una credibile stabilizzazione bosniaca sono ancora molteplici. Soprattutto la classe politica manifesta ancora una strisciante ma sempre più palese resistenza alle necessarie riforme in senso unitario.
Come nel caso del Primo Ministro della Republika Serba di Bosnia (RS), che all'esterno si dimostra ben disposto alle trattative e alla collaborazione con la Comunità Internazionale e le Istituzioni centrali di Sarajevo, mentre all'interno della RS esprime (sia a parole che coi fatti) la sua radicata convinzione che la Bosnia Erzegovina sia stata costruita a Dayton come un irrazionale agglomerato di etnie astiose e ostili tra loro che sarebbe stato meglio tenere separate. Ciò ha condotto la Comunità Internazionale a ripensare alla propria exit strategy dalla Bosnia. L'Ufficio dell'Alto Rappresentante delle Nazioni Unite (OHR), diversamente da quanto era stato inizialmente programmato non è stato chiuso nel 2006, al contrario l'Alto Rappresentante continua a mantenere la propria carica di garante della conduzione democratica degli affari politici bosniaci e a sedare le spinte indipendentiste di alcune frange ultranazionaliste che ancora fomentano l'incomprensione interetnica.
Persino l'arresto dell'ex Presidente della Repubblica Serba e criminale di guerra Radovan Karadić non ha dato al Paese quell'impulso di liberazione e fiducia nel futuro che la Comunità Internazionale si sarebbe aspettata. E come tutti gli anni, l'anniversario del massacro di Srebrenica (11 luglio 1995) torna a riaprire ferite ancora troppo fresche per essere ricucite credibilmente e stabilmente.
Srebrenica rappresenta la pagina più nera della storia europea del secondo dopoguerra ed è il simbolo non solo della tragica guerra che ha devastato la Bosnia, ma riassume in se tutte le contraddizioni e le questioni irrisolte che impediscono alla Bosnia Erzegovina di chiudere i conti con il passato e trovare quella stabilizzazione che gli può consentire di riformare le istituzioni e perseguire lo sviluppo economico.
A Srebrenica, non solo come qualcuno ha commentato la terra emana morte, ma soprattutto la popolazione mussulmana non ha ancora rimosso il sentimento di abbandono da parte della comunità internazionale che ha assistito inerme al genocidio, tale popolazione che prima della guerra rappresentava oltre il 60% della popolazione, oggi è meno del 40%, ma soprattutto vede frustrato ogni diritto di giustizia perché ai vertici degli uffici pubblici compreso quello della polizia ci sono persone che hanno partecipato attivamente agli eccidi. Lo stesso genocidio finirebbe nell'oblio se non ci fosse la tenacia delle donne di Srebrenica
Che ogni 11 del mese sfilano per le strade di Tuzla, con i nomi dei cari uccisi, la marcia la fanno a Tuzla perché a Srebrenica ora a maggioranza Serba e parte della Repubblica Serba di Bosnia è sconsigliabile fare manifestazioni è sintomatico che il premier della Repubblica Serba quando passa nelle vicinanze del centro commemorativo non si sia mai fermato.
La negazione dei crimini avvenuti e la discolpa di coloro che hanno perpetrato tali delitti, rende il passato recente della Bosnia Erzegovina, insopportabilmente doloroso per la maggior parte dei suoi cittadini.